È stata una full immersion nella Misericordia quella che ho  vissuto giovedì 2 giugno per il Giubileo dei sacerdoti, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, in mezzo ai sacerdoti di Roma – parroci, amministratori parrocchiali, cappellani, seminaristi – e in comunione con i sacerdoti provenienti da tutta la penisola italiana, riuniti nella Basilica di Santa Maria Maggiore, e quelli giunti da tutto il mondo, che hanno riempito la Basilica di San Paolo fuori le Mura.

Le tre meditazioni di Papa Francesco non mi hanno lasciato scampo: io sono il figlio che si è allontanato dalla casa del Padre, che ne sente nostalgia e che non fa in tempo nemmeno a lavarsi (sono parole di Papa Francesco) che si vede vestito a festa. C’è, deve esserci, questa tensione feconda tra miseria e dignità, nella quale sono posto dalla Misericordia “esagerata” di Dio. È Lui, è il cuore di Cristo – sede della ineffabile Misericordia divina - che mi veste a festa, rendendomi la dignità di figlio anche se “sporco e pieno di vergogna”. Sono frastornato. Posso sentirmi – e sono – fragile, meschino, egoista, e, a un tempo, sono chiamato ed eletto.

Ed è vero: solo la Misericordia rende sopportabile questa tensione. Per questo la Misericordia è non tanto un elemento, ma è l’elemento costitutivo della mia vita. E tutto questo – mi ha ricordato senza giri di parole papa Francesco – ha delle conseguenze: perdonato sono chiamato a perdonare, meglio ancora per usare i neologismi coniati dal Papa, “misericordiato” non posso che “misericordiare”. Altro che “passare alla dogana” e di un “funzionario” che analizza il “caso”, sciaguratamente anche “con curiosità”. Sono – devo essere – solo e sempre “segno e strumento”. Non c’è davvero un’altra possibilità per il sacerdote: o sei misericordioso o non sei sacerdote. Ogni storia, la mia storia è una storia di misericordia.

Impossibile per me – sacerdote paolino, chiamato a servire il popolo di Dio nella parrocchia Gesù Buon Pastore – non evocare le parole del beato don Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia Paolina, che parlando di se stesso in terza persona amava dire che la storia della sua vita non era altro che il racconto delle sue fragilità e delle infinite misericordie di Dio. Le parole di Papa – che, mentre evocava i santi che hanno ricevuto misericordia (san Paolo, san Pietro, san Giovanni, sant’Agostino, san Francesco, sant’Ignazio), rimandavano a quanto Gesù ha fatto con il lebbroso, con la Samaritana, con la donna adultera, e ha detto con le parabole del Padre buono, del Samaritano, della pecorella smarrita – mi fanno tornare spontaneamente sulle labbra una preghiera che quotidianamente apre la mia giornata: “Concedimi, Signore, di essere accogliente luogo d'incontro tra il tuo perdono e i miei fratelli”.

Don Vincenzo Marras,
sacerdote paolino,
parrocchia Gesù Buon Pastore, Roma,
già direttore del mensigle Jesus