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Dopo una lunga discussione il “diritto d’aborto” viene raccomandato ai Paesi membri dell’Unione Europea, un invito che a prima vista parrebbe senza conseguenze visto che esistono già legislazioni nazionali diverse nella declinazione ma che comunque prevedono l’accesso delle donna all’interruzione di gravidanza. Ma se si approfondisce meglio il «Rapporto sull'eguaglianza tra donne e uomini”,sulla relazione del Comitato sui diritti della donna e l’eguaglianza che porta la firma del socialista belga Marc Tarabell, approvato dai parlamentari di Strasburgo con 441 voti a favore (e 205 contrari), se ne vedono le preoccupanti implicazioni prima di tutto a livello culturale e poi anche sulla vita delle persone, delle mamme stesse, dei medici, ma anche di tanti giovani dell’Unione.
Culturale perché, lungi dall’essere considerata l’estrema, drammatica ratio, come hanno sempre sostenuto i fautori delle leggi per la depenalizzazione dell’aborto per convincere i contrari, in questo caso la soppressione della vita passa ad essere considerato un diritto e quindi qualcosa di positivo, una sorta di cura, che in quanto tale non può essere negata. Da qui dunque una pressione sulla facoltà dei medici di sottrarsi a questa metodica, che moltissimi ritengono contrari alla loro stessa missione di cura con l'obiezione di coscienza prevista peraltro da molti documenti internazionali.
Da qui dunque l’esigenza di educare le nuove generazioni, a scuola, oltre che ai metodi contraccettivi anche a questo “diritto” che non a caso sempre più viene considerato quasi al pari di uno di quei metodi (vedi la questioni pillola del giorno dopo e simili per non parlare di altri metodi abortivi che solo per il fatto di non implicare un intervento chirurgico scivolano nell’indistinta categoria del farmaco).
Certo in questo caso bisognerebbe mettere in campo politiche e interventi ben più faticosi e coinvolgenti che quel poco costoso “lasciar libere” le donne nella loro decisione. E anche molto, molto sole.



