Tra pochi mesi nella Repubblica Democratica del Congo si terranno le elezioni presidenziali, un passaggio decisivo in un Paese ricco di risorse umane e naturali ma ancora alla ricerca di un vero sviluppo. Molti guardano al prossimo dicembre con inquietudine per le possibili violenze e le diplomazie internazionali sono già in allerta.  I candidati che si stanno allineando sono numerosi. Féx Tshisekedi, è il presidente in carica che intende proseguire un secondo mandato; Martin Fayulu vuole recuperare il mandato che sostiene di aver vinto alle urne del 2018; Moïse Katumbi, abile uomo d’affari molto amato dalla popolazione, cattolico, spera finalmente di riuscire nella corsa alla carica suprema; e poi due ex primi ministri del presidente Joseph Kabila con tanta esperienza politica, Adolphe Muzito e Matata Ponyo, e ancora Delly Sesanga, avvocato e deputato d’opposizione. La novità con una visibilità internazionale è Denis Mukwege, 68 anni, premio Nobel per la pace 2018, pastore protestante e medico ginecologo, esperto mondiale nella cura dei danni fisici interni causati da violenza sessuale.

Nelle precedenti tornate elettorali si delineavano due campi distinti, oggi invece c’è una frammentazione nelle candidature e per questo c’è molta tensione sul terreno. Vincerà in un unico turno il candidato con il maggior numero di voti. Non sarà facile per nessuno guidare un Paese complesso come la Repubblica Democratica del Congo. Nessuna istituzione scolastica o sanitaria ha un livello internazionale e non si è finora delineato un percorso per risalire la china. La spinta di speranza portata dalla visita di papa Francesco lo scorso febbraio sembra aver perso la sua forza. Il presidente Tshisekedi ha il merito di avere ristabilito un clima elettorale più libero rispetto al precedente, anche se non mancano situazioni poco chiare, come l’arresto di figure indipendenti, come il giornalista Stanis Bukajera, detenuto da diverse settimane a Kinshasa, presumibilmente per un articolo che analizza l’efferato omicidio di Cherubin Okende, già ministro dei trasporti e deputato dell’opposizione.

Se da una parte il presidente Tshisekedi non mette in discussione la data e la tenuta delle consultazioni, le opposizioni continuano a temere che ci sarà uno slittamento o addirittura che le elezioni non si terranno o saranno irregolari, anche facendo memoria delle precedenti, su cui è pesata molto più di un’ombra. La Chiesa cattolica gioca un ruolo fondamentale nell’esigere un confronto trasparente tra i candidati. Il dottor Mukwege è l’unico che non ha una base elettorale ma che ha un programma e idee più chiare di tutti. Mentre Tshisekedi e Katumbi parlano soprattutto alla pancia della popolazione, il premio Nobel parla alla testa. In un discorso all’università di Lubumbashi, dove un anno fa riceveva una laurea honoris causa, Mukwege affermava: «Sono gli intellettuali congolesi ad avere la responsabilità di scrivere una storia nuova e più gloriosa. Per scriverlo con la nostra gente, con l'inchiostro della nostra intelligenza collettiva e del nostro sudore… È la strada che vi propongo per porre fine alle ingiustizie, alle guerre infinite, al saccheggio delle nostre risorse, alla corruzione, alla violenza sessuale, alla violenza in generale…».
Oltre al posto di presidente, saranno in gioco anche i seggi del parlamento nazionale, con il coinvolgimento di più di 23 mila candidati. Le prossime settimane saranno decisive: gli elettori congolesi avranno la possibilità di prepararsi alla scelta? Potranno esprimersi nella libertà? I risultati di queste elezioni avranno una rilevanza anche nel contesto internazionale.