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Leggere a distanza di mesi la lettera che Filippo Turetta ha scritto ai suoi genitori poco dopo l’arresto in Germania (novembre 2023) risponde in modo disarmante alla domanda che tutti avremmo voluto porgli: “Come hai potuto?”. Le parole di Filippo, prendendole per sincere, rivelano un ragazzo che pensa a sé con lucidità. Parte con il rassicurare i genitori su quello che gli sta accadendo: commenta la gentilezza delle persone che lo hanno arrestato e descrive le procedure che hanno effettuato con lui. Emerge il ritratto di un ragazzo che legge la sua storia, capace di mettere in ordine il prima e il dopo. Esprime consapevolezza rispetto al male che ha generato e dice di sentirne il peso. Sa di aver reso il mondo un posto peggiore e di aver rovinato la vita di molte persone che gli hanno voluto bene e che si sono sempre fidate di lui. Appare anche lui disarmato di fronte all’irreparabile di cui è stato autore. Oscilla tra il rammaricarsi per il mancato coraggio nello sparire in un istante da questo mondo e il condannarsi a portar il peso per sempre del suo crimine: ogni giorno, per sempre, dovrà pagare un conto inestinguibile per il male di cui è colpevole e responsabile fino a quando “vedrò perdere i capelli”. È consapevole di dover portare con sé per sempre il peso di un male insanabile. Parla del bello a cui dovrà rinunciare e che ha conosciuto da molto vicino nella sua vita precedente.
A tutti noi e alle nostre domande resta una magra consolazione. Filippo stesso sembra porsi le stesse domande e la sua risposta non è di molto aiuto: “Io non volevo, non so perchè l’ho fatto, non avrei mai pensato o voluto che succedesse”. Può una persona che ha vissuto una vita “normale” e funzionato “normalmente” per anni costruire dentro di sé una storia che ha un epilogo così atroce? Può il male avviare un percorso parallelo, costruito giorno per giorno dentro a una vita apparentemente normale senza fare rumore? Purtroppo la realtà di cronaca ci conferma che è possibile. Se ci guardiamo bene attorno, i segni di questa possibilità sono visibili anche in tante storie di male con la M minuscola. Questa consapevolezza ci lascia sguarniti. Come intuire il momento di questo innesto nefasto del male che prende il sopravvento su tutto il resto? Un momento X dove un dolore o chissà quale causa arma il male che è in ciascuno di noi e innesca un moto che può degenerare e perdersi? La lettera di Filippo ci fa intuire questo percorso silente, una storia di male fuori dal principio di realtà che da due anni aveva preso a crescere in lui. Un pensiero di male folle che si è sviluppato a braccetto con la sua normalità e non ha fatto rumore. La lettera di Filippo ce lo restituisce dopo che il male ha concluso la sua opera e ce lo mostra così non diverso da molti dei nostri figli. Questo chiede a tutti noi adulti di aiutare ogni giorno chi sta crescendo a tenere orientato lo sguardo al bene. Di provare a farlo, per come ci è possibile, con tutto noi stessi.



