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Il padre seduto con la fisarmonica, il figlio in piedi col violino. Insieme a loro, dieci altri musicisti da tutta Europa. A guardarli, nella Sala Nervi del Vaticano, migliaia di persone. Anzi, “pral”, che in lingua romanì significa “fratelli”. Tra loro, per un giorno, papa Leone XIV. Padre e figlio sono Santino e Gennaro Spinelli, 61 e 31 anni. Il primo è musicista, docente universitario, scrittore rom conosciuto in tutto il mondo. Il secondo è attivista e presidente dell’Unione delle Comunità Romanes Italiane (UCRI). E soprattutto, anche lui, musicista di fama nazionale.
Il primo brano che intonano è il Murdevele, il "Padre nostro" in lingua romanì. Leone ascolta, in sala c’è commozione. D’altronde, ieri il Vaticano ha ospitato per la prima volta nella sua storia il Giubileo dei rom, sinti e camminanti. Una celebrazione della cultura millenaria di un popolo perseguitato, ma che «non ha mai mosso guerra a nessuno», spiega Santino, «né compiuto atti di terrorismo. E la nostra sofferenza l’abbiamo trasformata in musica».
Leone li ha invitati a essere «protagonisti del cambiamento d’epoca in corso, camminando insieme alle altre persone di buona volontà dei luoghi dove vi trovate, andando oltre la diffidenza reciproca, facendo conoscere la bellezza della vostra cultura, condividendo la fede, la preghiera e il pane frutto di lavoro onesto». Gennaro non trattiene l’emozione: «Abbiamo suonato in cinquanta nazioni nei teatri più importanti, come la Scala di Milano e il San Carlo di Napoli, ma esibirsi davanti al Papa non ha prezzo. E poi, ad ascoltarci c’erano migliaia di fratelli e sorelle». I due, abruzzesi ma conosciuti in tutta Italia, lavorano insieme per raccontare la musica romanì. L’hanno approfondita e perfezionata, mescolandola con anni di studio al Conservatorio. Arrivando a risultati e riconoscimenti di alto livello.
Il primo Papa per cui hanno suonato assieme fu Benedetto XVI, a Bresso nel 2013. Poi papa Francesco. Ma l’esibizione di ieri ha qualcosa di speciale: «Il primo Giubileo dedicato a noi è stato bellissimo», spiega Gennaro, «e ieri c’erano rom cattolici, ortodossi e musulmani che sono arrivati da tutta Europa. Non solo: insieme ai 3500 rom c’erano più di 6mila non rom, a dimostrazione che siamo una comunità aperta». Quella degli Spinelli è una famiglia di musicisti: «A partire da mio padre, grande appassionato di musica che ci ha trasmesso il suo amore. Quando i miei figli Gennaro, Giulia ed Evelise erano piccoli suonavano tutti uno strumento in casa, e si respirava un’armonia incredibile».
Per la cultura rom, le sette note sono state da sempre «un pilastro di trasmissione culturale, perché la nostra è una tradizione prevalentemente orale. Se la nostra cultura si è tenuta viva è stata proprio attraverso la musica. Tramite le canzoni, i bambini hanno da sempre appreso la lingua e la storia della propria comunità. Ogni canzone ha una filosofia di vita e un'etica da trasmettere». In un contesto come quello italiano del 2025, poi, suonare diventa anche uno strumento di resistenza alle discriminazioni, che «sono dilaganti», spiega Gennaro. «Basti pensare che l'83% degli italiani ha sentimenti negativi nei confronti della nostra comunità, e che lo 0% dei rom in Italia si sente culturalmente accettato. Per questo noi desideriamo trasmettere un messaggio di armonia tra i popoli: la musica non ha confini, parla al cuore di tutti e favorisce la coesistenza».
(Foto in alto: Santino e Gennaro Spinelli, musicisti rom di fama internazionale, si esibiscono durante il Giubileo dei rom, sinti e camminanti)



