«Un Papa che mazzola senza ritegno la Curia Vaticana, ma intanto parla a tutti noi», così il giornalista e scrittore Massimo Gramellini sintetizza il discorso di Bergoglio di ieri. Subito gli scatta il paragone con un altro anziano che «grazie al vantaggio dell’età, si concede spesso lo sfizio di essere sincero»: quel presidente Napolitano che nel giorno della rielezione al Quirinale uso toni sprezzanti e duri verso i parlamentari – «Mettete a seria prova le mie forze» li bacchettò – che, in risposta, si spellarono le mani applaudendolo trenta volte. Nella Sala Clementina, cardinali e prelati si sono invece limitati a rimanere in silenzio, magari sbiancando un po’ in volto: «Vantano un tasso lievemente inferiore di faccia tosta e masochismo», dice il vicedirettore della Stampa. E aggiunge: «Dietro l’impassibilità delle vittime di tanta furia verbale, c’è un’antica abitudine all’autocontrollo e alla dissimulazione, o forse la propensione umana a considerare le critiche come rivolte al vicino di banco e mai a se stesso».

Ad un certo punto poi, il Papa ha raccontato l’aneddoto del trasloco sontuoso di un giovane gesuita, a cui un confratello più anziano e sapiente chiese ironicamente: «Sarebbe questa la cavalleria leggera della Chiesa?». E il Papa ha aggiunto serio: «I nostri traslochi sono un segno della malattia dell’accumulare».  «Bergoglio – continua il giornalista – è andato molto oltre Napolitano, rinfacciando ai suoi sottoposti ogni malattia etica concepibile, con un linguaggio insolito in quegli ambienti felpati, abituati a esprimersi per allusioni». Nella sferzata di Natale – a confronto, la “Letterina di Natale” della collega di Gramellini a Che tempo che fa, Luciana Littizzetto, è uno zuccherino – ha parlato del rischio che la Curia si trasformi in “un’orchestra che produce chiasso” e ha elencato le quindici malattie su cui vigilare: «Alzheimer spirituale, schizofrenia esistenziale, esibizionismo, eccessiva pianificazione, rivalità, divinizzare i capi, faccia funerea, indifferenza, circoli chiusi». E giù ancora: «Terroristi delle chiacchiere, omicidi a sangue freddo della fama dei propri colleghi e confratelli, esibizionisti, calunniatori». Per Gramellini, sta proprio in quest’elenco di “mazzolate” la grandezza di Bergoglio. «Scorrendo la lista – dice – si avverte un confortante senso di appartenenza, quasi di familiarità. Sono parole rivolte a tutti noi. Quando condanna l’invidia, la pigrizia mentale e il servilismo, il Papa sta parlando anche a noi, peccatori laici».

È la grandezza comunicativa e spirituale di un pastore che sa parlare allo stesso tempo al cardinale e a ciascun fedele, a Obama e Castro come al senzatetto di Piazza San Pietro. Sentendo gli auguri di Natale del Papa, a Gramellini viene spontaneo il proposito per l’anno nuovo: «Spedire i pretoni di curia a ripassare le ragioni della loro fede in qualche lontana e disgraziata missione, sostituendoli con quei pretini di periferia intrisi di amore e tenacia che tengono in piedi le parrocchie e la Chiesa». Insomma, quelli nella Sala Clementina il Papa ha indicato con una metafora da aviatore, anche questo, del resto, un monito per tutti: «I sacerdoti sono come gli aerei, fanno notizia solo quando cadono, ma ce ne sono tanti che volano. Molti criticano e pochi pregano per loro».