Ogni elemento segna distanza in questa immagine tra i due uomini in campo. L’uno di spalle, l’altro di fronte; il primo in basso, il secondo su un podio; uno confuso tra molti, l’altro isolato, netto, bene in luce. Il fotografo mette giustamente a fuoco monsieur François Hollande, presidente della Repubblica francese, e non il giornalista che sta domandando. Cosa? Lo spazio tra i due è muto. Eppure il 14 gennaio il Presidente ha parlato per 160 minuti davanti a 600 giornalisti di tutto il mondo: tasse; nozze gay; intesa franco-tedesca; Siria; Mali. E soprattutto questione Gayet, Julie Gayet, la nuova bionda fiamma del presidente. “E’ un momento doloroso” ha detto l’uomo sotto i riflettori, ammettendo nei fatti la relazione con l’attrice e dando un colpo mortale all’attuale compagna Valerie. Ma cuore a parte, la “sicurezza nazionale è salva”.
A Parigi il privato non è più pubblico come nel ’68, e il maggio francese della fantasia al potere è un gennaio freddo di silenzi. Potere e silenzio sono appunto i veri temi di questa immagine. A noi pare che l’uomo sul palco sembri seguire il gesto del suo intervistatore, che quasi gli indica la strada. Senza voler forzare la lettura dei segni ci pare che l’uomo sul podio stia seguendo un’indicazione. E’ il mistero dell’ambivalenza di ogni potere moderno: leader mai assoluto e sempre “contenuto” dalla sovranità popolare. Non si sta sul podio per puro carisma, ma per elezione. E se si è sotto il faro di luce non c’è privato che esista. Né dolore che non ci riguardi. “Spiacente monsieur le President” - sembra dire con il suo gesto l’uomo che domanda e riempie lo spazio vuoto tra sé e il podio - “Noi l’abbiamo fatto uscire dall’ombra, e oggi lei è nostro. E non ha privacy”.