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Tra le cose che dovremmo rivedere ci sono anche tutte le cerimonie che una volta legavano al Carnevale. Ai miei tempi il Carnevale era quasi un tempo diversamente sacro. Verona aveva il suo, Venezia il suo, Cento il suo ed erano cerimonie importanti che avevano obbligato la gente a lavorare, sognare, progettare per mesi. E poi arrivavano le poche giornate o le poche ore dentro le quali si consumavano i sogni e le sovversioni. Faccio questa premessa perché anche oggi ripetiamo questi atti e queste cerimonie, però, e qui mi scuso, pare che la fantasia, l’entusiasmo, il fascino dei Carnevali di ieri, non abbia perso la grinta esterna e la trascendenza caratteriale, ma che non sia più così profondamente stravolgente. C’è la gente, c’è mezzo mondo, ma al di là di battimani e facce stravolte, tutto ritorna presto alla normale quotidianità. È sicuramente colpa mia. Da giovane questa settimana la avvicinavo ai baccanali, alle feste greche e romane con lo scatenamento dei sensi e del corpo e con la capacità che i corpi avevano di scendere e scuotere l’intero mondo sociale, compreso il mio. In fondo in fondo il Carnevale diventava promessa di una doppia liberazione, quella politica e quella sociale o, meglio ancora, quella psichica. Oggi si urla, ci si veste molto eleganti, facciamo emergere la nostra energia esterna e poi, credo, tutto finisce lì. Non si va oltre. Il mondo è un’altra cosa, oppure c’è un altro tipo di sovversione più attuale e più preoccupante.
nella foto, il carnevale di Viareggio (Ansa)



