In questi giorni si parla del centenario della “Grande guerra” e della visita di papa Francesco a Redipuglia. Mio padre ha combattuto la Seconda guerra mondiale e, grazie a Dio, è tornato sano e salvo. Per fargli dire qualcosa della terribile esperienza vissuta, bisognava cavargli le parole di bocca. Una frase, però, ripeteva spesso: «La guerra è la peggiore cosa al mondo, ma la patria e la famiglia si devono difendere. Guai a scappare! ». Ora, io vedo tanti immigrati arrivare sulle nostre coste perché fuggono dalla guerra, e mi chiedo cosa avremmo detto dei nostri “ragazzi del ’99”, di mio padre, dei partigiani e dei tanti che sono morti, se fossero saliti su un barcone per fuggire dall’Italia in guerra? Se vuole, mi risponda pure. Ma la prego non ne faccia una questione di razzismo: sia io sia mio marito facciamo volontariato in parrocchia e nostro figlio, questa estate, è stato a Roma in servizio a una “mensa dei poveri”.
MARIA P. – Venezia
Non è una questione di razzismo, ma le situazioni cui fai riferimento sono molto diverse tra loro. La fuga non sempre è sinonimo di codardia o mancanza di responsabilità. Spesso è l’unica via per sopravvivere e non soccombere alle stragi, e per alimentare la speranza in un futuro migliore. Come hanno fatto, di recente, tanti nostri fratelli cristiani perseguitati nelle guerre che insanguinano l’Iraq e la Siria. Il male è la guerra, non chi fugge da essa.