Non si nega. E rilancia. Riflettendo con Famiglia Cristiana sullo sfarzoso funerale del boss romano Vittorio Casamonica, il Prefetto della Capitale, Franco Gabrielli, ammette inefficienze e lacune dell'apparato di sicurezza, lamenta un'eccessiva amplificazione mediatica e difende Roma: «Non è corretto parlare di una criticità riferita al luogo».

Signor Prefetto, a 24 ore dallo scandaloso evento che valutazioni fa?
«Dico che è accaduta una cosa grave. Stigmatizzabile.  Non doveva accadere. E invece è accaduta».

Perché?
«Tre le cause, a mio avviso. Il funerale è stato celebrato in un quartiere diverso da quello di appartenza del boss. Il periodo ferragostano ha generato un allentamento delle difese immunitarie anche in campo sociale. Infine, ed è una nostra mancanza, l'apparato di sicurezza non ha saputo cogliere i giusti segnali di quel che sarebbe successo».

Alcuni testimoni affermano che prima delle esequie in zona c'erano pattuglie della Polizia municipale e dei Carabinieri. Non si poteva interrompere il funerale?
«Solo il Questore poteva dare prescrizioni sulla cerimonia, qualora ci fossero stati i presupposti di legge.  Ma nè sul tavolo del Questore nè sul mio è arrivata nessuna segnalazione in tempo utile. E qui sta il problema. In una società perennemente connessa non c'è stata la necessaria tempestività di informazione».

Da un elicottero sono stati lanciati petali di rosa...
«Era un velivolo ultraleggero. Sorvolava una zona della città non soggetta a restrizioni. Comunque sono in corso accertamenti per verificare la correttezza del sorvolo».

La gente, infine. Roma connivente?

«No. C'è stata più amplificazione mediatica che partecipazione di popolo. Non si può parlare di criticità  del luogo. Sicilia, Calabria e Campania, terre che conosco e amo, hanno un'altra storia in quanto a radicamento del sistema mafioso. Storia dalla quale per altro si stanno affrancando con  intelligenza e vigore, sviluppando gli opportuni anticorpi sociali, di legalità e anche religiosi»