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Ancora sangue in Repubblica Democratica del Congo. Ancora fedeli cristiani massacrati mentre pregavano. A Komanda, nel nord-est del Paese, una quarantina di persone sono state trucidate il 27 luglio da miliziani delle Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo armato attivo da decenni nella regione. Secondo quanto riportato da fonti locali all’agenzia AFP, le vittime erano riunite in un momento di preghiera comunitaria quando i ribelli sono piombati su di loro, armati di machete e fucili, uccidendoli senza pietà.
Le testimonianze sono strazianti: «Abbiamo trovato corpi sparsi ovunque. Molti erano mutilati», ha raccontato un responsabile della Croce Rossa locale. Gli attacchi si sono concentrati nei villaggi di Masala, Mambelenga e nella stessa Komanda, nel territorio di Irumu, provincia dell’Ituri. Secondo l’ong Cepadho, le milizie si sono divise in gruppi e hanno agito simultaneamente per massimizzare il numero delle vittime e disorientare la popolazione. Una strategia di terrore che si ripete da anni.
Una lunga scia di sangue
Non è la prima volta. E purtroppo, con ogni probabilità, non sarà l’ultima. Solo a febbraio di quest’anno, nella provincia confinante del Nord Kivu, almeno 70 cristiani sono stati uccisi in modo simile: colpiti mentre pregavano, in un raid notturno rivendicato, ancora una volta, dalle ADF. Il gruppo, di origine ugandese ma attivo nella parte orientale del Congo fin dagli anni ’90, è da tempo affiliato allo Stato Islamico, che ne amplifica la propaganda e ne sostiene l’ideologia jihadista. Secondo l’Onu, le ADF hanno ucciso oltre 7.000 civili dal 2014 a oggi, rendendole una delle milizie più sanguinarie del Paese.
L’obiettivo è duplice: destabilizzare e conquistare. Le ADF puntano a creare uno Stato islamico nel cuore del Congo, finanziandosi con il traffico illegale di oro, legname e risorse naturali. Ma colpiscono soprattutto i cristiani, che rappresentano circa il 95% della popolazione congolese. Gli attacchi contro chiese, pastori e fedeli sono mirati, sistematici. Non si tratta di “effetti collaterali” del conflitto: sono bersagli scelti.


Il volto dimenticato della persecuzione
In molti Paesi africani, la fede cristiana è sotto attacco. Ma la Repubblica Democratica del Congo, pur essendo uno degli Stati più popolosi e ricchi del continente, resta drammaticamente fuori dai riflettori. «C’è una persecuzione silenziosa che si consuma giorno dopo giorno», denuncia Open Doors, che ogni anno pubblica la “World Watch List” dei Paesi dove è più pericoloso essere cristiani. Il Congo è salito al 41° posto, ma con un trend in crescita che preoccupa.
I cristiani vengono uccisi non solo perché credono in Gesù, ma anche perché rappresentano l’unico argine organizzato contro il caos armato. Per questo vengono presi di mira.
Un Paese ostaggio delle milizie
La Repubblica Democratica del Congo è in guerra da oltre trent’anni. Un conflitto a bassa intensità ma ad alta distruttività. Secondo un’approfondita analisi pubblicata da Oxfam Italia, sono più di 100 i gruppi armati attivi nell’est del Paese. Le ragioni sono molteplici: controllo delle risorse, rivalità etniche, assenza dello Stato, ingerenze straniere. Il risultato è una crisi umanitaria permanente.
Il Nord Kivu e l’Ituri sono tra le zone più martoriate. Milioni di persone vivono in campi profughi, senza accesso a cure, istruzione o sicurezza. Le istituzioni sono fragili, l’esercito è spesso complice delle violenze, la comunità internazionale assente o inefficace.


Una Chiesa che non si arrende
In questo scenario di terrore e abbandono, la Chiesa cattolica continua a essere una delle poche forze presenti sul territorio. Nonostante gli attacchi, preti, suore e laici non hanno lasciato le parrocchie. Continuano a offrire conforto spirituale, cibo, rifugio. La Caritas congolese è una delle organizzazioni più attive nella distribuzione di aiuti.
Papa Francesco ha più volte denunciato la situazione. Nel 2023 aveva visitato proprio la capitale Kinshasa, incontrando vittime di violenze e ribadendo la sua vicinanza al popolo congolese. Dopo il massacro di Komanda, la Sala Stampa vaticana ha espresso «profonda tristezza e solidarietà nella preghiera per le vittime innocenti».
Il silenzio che fa male
Ma fuori dalla Chiesa, il silenzio è assordante. L’Europa, distratta da altre crisi, raramente menziona il Congo. L’Onu ha ridotto la propria presenza militare nel Paese, mentre l’Unione Africana non riesce a esercitare una pressione efficace. Le condanne, quando arrivano, sono formali e tardive.
Eppure, dietro ogni cifra c’è una storia. Dietro ogni villaggio raso al suolo c’è una comunità spezzata. Dietro ogni preghiera interrotta da una raffica di mitra, c’è una fede che resiste.



