CERVIA, IL CASO DI PAOLO GROTTANELLI

Il caso del lavoro di cameriere negato a un ragazzo di colore da un ristoratore di Cervia lascia un desolante retrogusto amaro. La storia è venuta alla scoperto grazie alla madre del ragazzo: Paolo Grottanelli, 29 anni, ultimo di quattro figli, abbandonato piccolissimo a San Paolo del Brasile, ha vissuto in un orfanotrofio fino ai tre anni, finché una coppia di Milano lo ha adottato insieme ad uno dei fratelli, e gli altri due della famiglia sono stati affidati poco lontano, in Brianza. Paolo ha studiato e si è diplomato con il massimo dei voti all'Istituto alberghiero e sognava di fare il cameriere, perché gli piace il lavoro in sala.

Sembrava che fosse finalmente arrivata la sua occasione: un ristorante di Cervia, valutato il suo curriculum, lo aveva assunto per la stagione estiva. Poi, a pochi giorni dall'inizio del lavoro, la doccia fredda, comunicata attraverso un assurdo messaggio sul telefonino: «Mi spiace Paolo ma non posso mettere ragazzi di colore in sala, qui in Romagna sono molto indietro con la mentalità... Scusami ma non posso farti venire giù. Ciao». 

Poiché la foto sul curriculum era in bianco e nero, il ristoratore non si era reso conto delle origini di Paolo; poi, quando ha visto la carta d'identità con la foto a colori, ha deciso di inviare quel messaggio...



ITALIANI CONTRO LO IUS SOLI

Il ristoratore giustifica il suo gesto asserendo che in Romagna sono «molto indietro con la mentalità», affermazione subito smentita dal sindaco di Cervia, che ricorda come l'accoglienza e l'integrazione vengano praticate da decenni, come dimostra l'elevato numero di stranieri impiegati.

La domanda che dobbiamo porci allora è: chi è arretrato? chi è indietro di mentalità? Il ristoratore si è dimostrato più realista del re, attribuendo ai suoi clienti un'ottusità inesistente? Oppure, all'opposto, conosce così bene i suoi clienti, le loro idee, il loro modo di ragionare, da aver voluto preservare la sua attività? In altre parole, noi, come popolo e come comunità, siamo accoglienti e aperti all'integrazione o, sotto sotto, siamo almeno un po' razzisti?

Una risposta non retorica forse possiamo ricavarla dall'atteggiamento verso lo Ius soli, la legge in discussione al Parlamento che intende riconoscere la cittadinanza italiana ai figli di immigrati stranieri nati in Italia. Ebbene, un sondaggio commissionato a giugno dal Corriere della sera a Nando Pagnoncelli aveva prodotto questo commento: «Oltre la metà degli italiani (54%) è contraria al riconoscimento della cittadinanza italiana ai figli di immigrati stranieri nati nel nostro Paese, con almeno un genitore che abbia un permesso di soggiorno permanente in Italia, mentre il 44% si dichiara favorevole. Nell'arco di sei anni le opinioni si sono rovesciate: da un sondaggio Ipsos pubblicato nel 2011 emergeva che i favorevoli allo ius soli (71%) prevalevano nettamente sui contrari (27%)».


UNO SCHIAFFO ALLA MERITOCRAZIA

Un'altra considerazione è che negare il lavoro a chi ha i titoli e le competeneze per farlo significa negare la meritocrazia e l'impegno. Paolo aveva studiato per fare quel lavoro, per giunta con buoni risultati, e avrebbe ricoperto il ruolo al meglio. Sulla preparazione professionale, sulla competenza, sul merito, ha prevalso una valutazione di diversa natura, basata suol colore delle pelle.

A chi chiede l'elemosina, diciamo: perché non ti trovi un lavoro? Paolo aveva studiato, sie ra fatto il curriculum e il lavoro l'aveva trovato... Ma questo ci riporta al discorso di prima: chi è arretrato?


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