Alla fine del primo incontro con gli operatori dei media, lunedì scorso in Aula Paolo VI, Papa Leone XIV ha riservato solo ad alcuni di essi parole e gesti di particolare calore: fra questi, padre Francesco Lombardi, gesuita, ex direttore della Sala stampa vaticana. Molto meno nota di lui, eppure trattata da Prevost con altrettanta simpatia, è stata Paola Ugaz, una giornalista investigativa peruviana. Che all’ex vescovo di Chiclayo ha donato una sciarpa proveniente dalle Ande, realizzata con lana di alpaca da donne povere.

Da lunghi anni Ugaz si occupa del “Sodalitium Christianae Vitae”, potente organizzazione religiosa peruviana, popolarmente nota come “Sodalicio”, sciolta da papa Francesco pochi giorni prima della sua morte, dopo gli scandali di abusi e corruzione emersi a carico di alcuni dei suoi responsabili. Corrispondente da Lima del quotidiano spagnolo ABC, Ugaz è stata più volte attaccata (anche per vie legali) per i suoi pezzi scomodi e per il libro che ha scritto nel 2015, insieme con Pedro Salinas, ex-membro del “Sodalicio” e tra i suoi più battaglieri accusatori, dal titolo “Mitad monjes, mitad soldados” (“Metà monaci, metà soldati”). Nel 2021 ha vinto il premio #IWMFCourage in Journalism, assegnato dall’International Women’s Media Foundation alle croniste che scrivono da zone pericolose.

Ebbene, proprio il giorno successivo all’incontro in aula Paolo VI, “Avvenire” ha pubblicato un’intervista alla Ugaz - a firma di Lucia Capuzzi, inviata in Perù - che comincia con queste parole: «Robert Prevost, un vescovo che insabbia le denunce di abusi? Avrei liquidato l’accusa con una risata, se non si fosse trattato di un’operazione fatta dai veri abusatori per screditarlo». Qualche giorno prima, era toccato al “Times” di Londra pubblicare questo commento della giornalista peruviana su Leone XIV: «Direi che è empatico, disponibile e fa la cosa giusta, e io non sono nemmeno cattolica». Ugaz, inoltre, sottolinea come l’allora vescovo di Chiclayo, nonché vicepresidente della Conferenza episcopale peruviana, abbia appoggiato la sua indagine sul “Sodalicio”. Il tutto è confermato anche nell’intervista di “Avvenire”, in cui Ugaz dichiara: «Sono stata testimone diretta dell’impegno e della vicinanza sincera con cui, negli anni, questo pastore ha accompagnato le vittime. Persone con la vita ridotta in brandelli dalle sofferenze inferte loro e dal silenzio…. L’ho visto consolarle, spendersi per loro con coraggio e senza telecamere intorno. Non molti in Perù possono dire di avere fatto altrettanto». Fra chi si è battuto con coraggio contro gli abusi, accompagnando le vittime, c’è Carlos Castillo Mattasoglio, arcivescovo di Lima dal 2019, creato cardinale lo scorso anno da papa Francesco.

La vicenda al centro dell’attenzione mediatica prende spunto dalla denuncia di tre sorelle che nel 2022 si rivolsero a Prevost, denunciando di aver subito abusi da parte di due preti della sua diocesi. Il vescovo indirizza al centro di ascolto diocesano e le invita a sporgere denuncia alla Procura. Il problema è che, contestualmente, si innesca una macchina del fango su Prevost: le fonti che abbiamo contattato in Perù – che per ragioni di prudenza chiedono di restare anonime – concordano nell’affermare che quando il futuro Papa ha cominciato ad occuparsi del “Sodalicio” è iniziata una campagna di vendetta contro di lui. I fatti, però, dicono che Prevost ha preso sul serio non solo le denunce delle donne, ma si è fatto carico adeguatamente del problema. Ha, infatti, predisposto le linee-guida per l’episcopato peruviano e avviato il processo per la tutela dei minori in diocesi, sensibilizzando sul delicatissimo tema i preti, ma anche catechisti, e i genitori. La prefazione, firmata da Prevost, al volume di padre Fidel Purisca “Vigil, Cuidado del menor” (“Cura del minore”), edito nel 2022 sottolinea «la necessità di intraprendere azioni chiare e decise nella prevenzione dei reati, nella formazione degli operatori pastorali (sacerdoti, seminaristi, catechisti, altri che collaborano alle attività della Chiesa), nonché nella difesa di coloro che sono stati vittime dei diversi tipi di abuso». Quanto al caso citato, il vescovo ha sospeso dal ministero il prete indagato e messo in moto un’indagine preliminare, consegnata successivamente a Roma. La denuncia alla procura è stata archiviata – così si legge in una nota della diocesi - per «prescrizione e mancanza di prove». A sua volta, il dicastero romano competente ha archiviato perché le «accuse non erano sufficientemente provate».