«Con l’arma delle televisioni che hai mano, ti basterà organizzare un contenitore, un’etichetta». Così gli disse Bettino Craxi e lui capì che il momento era davvero giunto.

Silvio Berlusconi ascolta l’amico Bettino in un pomeriggio della primavera del 1993 e meno di un anno dopo, il 26 gennaio 1994, giusto vent’anni fa, appare in un video registrato in uno scantinato rimesso in condizioni tali da sembrare la sala-studio di una casa principesca. La videocassetta viene distribuita alle sue Tv per annunciare al mondo la “discesa in campo”, cioè il passaggio dal Berlusconi imprenditore al Berlusconi politico: «L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho anche appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato d forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare. Per poter compiere questa nuova scelta di vita, ho rassegnato oggi stesso le mie dimissioni da ogni carica sociale nel gruppo che ho fondato. Rinuncio, dunque, al mio ruolo di editore e di imprenditore per mettere la mia esperienza e tutto il mio impegno a disposizione di una battaglia in cui credo con assoluta convinzione e con la più grande fermezza. So quel che non voglio e, insieme con i molti italiani che mi hanno dato la loro fiducia, so anche quel che voglio. E ho anche la ragionevole speranza di riuscire a realizzarlo in sincera e leale alleanza con tutte le forze liberali e democratiche che sentono il dovere civile di offrire al Paese un’alternativa credibile al governo delle sinistre e dei comunisti. La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi. L’autoaffondamento dei vecchi governanti schiacciati dal peso del debito pubblico e dal sistema di finanziamento illegale dei partiti lascia il Paese impreparato e incerto nel momento difficile del rinnovamento e del passaggio a una nuova Repubblica. Mai come in questo momento, l’Italia, che giustamente diffida di profeti e salvatori, ha bisogno di persone con la testa sulle spalle e di esperienza consolidata, creative e innovative, capaci di darle una mano, di far funzionare lo Stato».

«Vogliamo un governo e una maggioranza parlamentare che sappiano dare dignità al nucleo originario di ogni società: la famiglia; che sappiano rispettare ogni fede e che suscitino ragionevoli speranze per chi è più debole, per chi cerca lavoro, per chi ha bisogno di cure, per chi dopo una vita operosa ha diritto di vivere in serenità. Un governo e una maggioranza che portino più attenzione e rispetto all’ambiente, che sappiano opporsi con al massima determinazione alla criminalità, alla corruzione, alla droga».

«Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme, per noi e per i nostri figli, un nuovo miracolo italiano». Un discorso di circa nove minuti ma che ha finito per durare un ventennio.

La scrivania, le foto sullo scaffale della libreria alle spalle, qualche volume sullo sfondo, l’uomo in giacca e cravatta che legge il gobbo e si aiuta con i fogli: molto istituzionale, ma anche molto familiare, molto bello, molto di tutto. E poi, il mito della calza, per creare un effetto “caldo” alle immagini, mentre in realtà si trattava di un filtro utilizzato dall’operatore alla telecamera. E, anni dopo, le affermazioni perfino del suo braccio destro, Fedele Confalonieri, secondo cui, se Berlusconi non fosse entrato in politica le sue aziende sarebbero fallite e le porte del carcere si sarebbero spalancate per il capo della Fininvest e dei suoi maggiori collaboratori.

D’altra parte, nei due anni precedenti, Tangentopoli aveva azzerato una classe dirigente corrotta e scoperchiato i legami tra mondo imprenditoriale e mondo politico mentre un referendum aveva detto che la prima Repubblica era alla fine dei suoi giorni.

Quel discorso suscita sorrisini di superiorità in molti avversari berlusconiani, che si dovranno ricredere quando i risultati elettorali del 27 e 28 marzo confermeranno che l’Italia è il Paese che ama Berlusconi. Almeno quanto Berlusconi ama l’Italia…