Si è spenta la luce negli splendidi occhi viola di Liz Taylor. Per milioni di appassionati del cinema è come se fosse scomparsa una ex fidanzatina, la prima ragazzina del cuore (alzi la mano chi, nel buio della sala, non si era innamorato del suo ovale perfetto incorniciato dai capelli corvini). L’ultima diva della Hollywood dei tempi d’oro, sia per il fascino indiscutibile sia per le sue innate doti di attrice, è morta a 79 anni per insufficienza cardiaca in un ospedale di Los Angeles, dove era ricoverata essendo malata da tempo.
Questa la scarna cronaca. Ma oltre alle leggendarie chiacchiere sul suo bizzoso carattere, agli otto matrimoni (seguiti da altrettanti divorzi) spesso con uomini più giovani, alle epiche scenate di gelosia con Richard Burton (che di quei sì se ne aggiudicò ben due, in un personalissimo record di irresistibile passione), di Elizabeth Taylor restano i due Oscar vinti (nel 1961 per Venere in visone e nel 1967 per Chi ha paura di Virginia Wolf?) e una carriera straordinaria scandita da 55 film, quasi tutti di successo mondiale.
Un successo precoce
Dopo il debutto, conquistò nei primi anni Quaranta le platee di tutto il mondo come protagonista di Torna a casa Lassie! e poi di Gran Premio. Per lei fu rispolverato l’appellativo di bambina prodigio, usato prima per Judy Garland e in seguito meritato soltanto da Jodie Foster e Natalie Portman. Un precoce successo che non le impedì comunque di maturare come interprete fornendo prove convincenti in pellicole come Piccole donne, Il padre della sposa, Un posto al sole, Quo vadis?, Il gigante, Improvvisamente l’estate scorsa, La bisbetica domata, Cleopatra, Assassinio allo specchio.
I sentimenti e l'alcol
Una escalation vertiginosa, la sua, che ne minò il carattere instabile procurandole una vita sentimentale turbolenta e una tragica dipendenza dall’alcol. Ne venne fuori più volte riuscendo, con autoironia, a tornare a recitare (ne I Flintstones, sua ultima apparizione sullo schermo nel 1994) e soprattutto a spendere il nome per una buona causa come la raccolta di fondi per l’Amfar, l’Associazione americana per la lotta contro l’Aids. Un impegno che l’ha vista in prima linea dal 1993, spingendola a prendere l’aereo senza curarsi della salute malferma pur di presenziare all’annuale asta benefica in occasione del Festival di Cannes. Oltre 58 i milioni di dollari raccolti dalla Taylor per la ricerca scientifica.
Quando, qualche anno fa, non ce l’ha fatta più a sorvolare l’Atlantico e ha passato all’amica Sharon Stone il testimone, abbiamo capito tutti che il declino della diva era ormai inarrestabile. Eppure, la sua morte ci ha colto lo stesso di sorpresa. Forse perché, con la fantasia, continuiamo a vederla come Maggie in La gatta sul tetto che scotta: bellissima e disperata, l’immancabile bicchiere in mano, mentre chiede languida al marito Brick, un algido Paul Newman, perché lui non la ami... Nessuna sarà mai più così vera a Hollywood come ha saputo essere lei, Liz dagli occhi viola.
Questa la scarna cronaca. Ma oltre alle leggendarie chiacchiere sul suo bizzoso carattere, agli otto matrimoni (seguiti da altrettanti divorzi) spesso con uomini più giovani, alle epiche scenate di gelosia con Richard Burton (che di quei sì se ne aggiudicò ben due, in un personalissimo record di irresistibile passione), di Elizabeth Taylor restano i due Oscar vinti (nel 1961 per Venere in visone e nel 1967 per Chi ha paura di Virginia Wolf?) e una carriera straordinaria scandita da 55 film, quasi tutti di successo mondiale.
Un successo precoce
Dopo il debutto, conquistò nei primi anni Quaranta le platee di tutto il mondo come protagonista di Torna a casa Lassie! e poi di Gran Premio. Per lei fu rispolverato l’appellativo di bambina prodigio, usato prima per Judy Garland e in seguito meritato soltanto da Jodie Foster e Natalie Portman. Un precoce successo che non le impedì comunque di maturare come interprete fornendo prove convincenti in pellicole come Piccole donne, Il padre della sposa, Un posto al sole, Quo vadis?, Il gigante, Improvvisamente l’estate scorsa, La bisbetica domata, Cleopatra, Assassinio allo specchio.
I sentimenti e l'alcol
Una escalation vertiginosa, la sua, che ne minò il carattere instabile procurandole una vita sentimentale turbolenta e una tragica dipendenza dall’alcol. Ne venne fuori più volte riuscendo, con autoironia, a tornare a recitare (ne I Flintstones, sua ultima apparizione sullo schermo nel 1994) e soprattutto a spendere il nome per una buona causa come la raccolta di fondi per l’Amfar, l’Associazione americana per la lotta contro l’Aids. Un impegno che l’ha vista in prima linea dal 1993, spingendola a prendere l’aereo senza curarsi della salute malferma pur di presenziare all’annuale asta benefica in occasione del Festival di Cannes. Oltre 58 i milioni di dollari raccolti dalla Taylor per la ricerca scientifica.
Quando, qualche anno fa, non ce l’ha fatta più a sorvolare l’Atlantico e ha passato all’amica Sharon Stone il testimone, abbiamo capito tutti che il declino della diva era ormai inarrestabile. Eppure, la sua morte ci ha colto lo stesso di sorpresa. Forse perché, con la fantasia, continuiamo a vederla come Maggie in La gatta sul tetto che scotta: bellissima e disperata, l’immancabile bicchiere in mano, mentre chiede languida al marito Brick, un algido Paul Newman, perché lui non la ami... Nessuna sarà mai più così vera a Hollywood come ha saputo essere lei, Liz dagli occhi viola.


