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Dopo oltre cinque anni di carcere, la leader dell’opposizione bielorussa Maria Kolesnikova è stata graziata dal presidente Alexander Lukashenko, insieme al premio Nobel per la Pace Ales Bialiatski e ad altri 121 prigionieri politici, in quella che è la più ampia scarcerazione di detenuti politici durante l’era Lukashenko. Secondo quanto riferito dai media e confermato da organizzazioni internazionali e fonti d’agenzia, si tratta di un gesto che mescola elementi di reale sollievo umano a calcoli politici e diplomatici di portata internazionale.
Chi sono Kolesnikova e Bialiatski
Maria Kolesnikova, oggi 43 anni, è diventata uno dei simboli della resistenza democratica in Bielorussia durante le massicce proteste contro il presidente Lukashenko dopo le contestate elezioni del 2020. Arrestata per il suo ruolo nel movimento di opposizione e poi condannata a 11 anni di carcere con accuse politicamente motivate, Kolesnikova rifiutò di lasciare il paese forzatamente, strappando il suo passaporto al confine con l’Ucraina e restando nel proprio paese per non abbandonare la lotta per la libertà.
Ales Bialiatski è un attivista per i diritti umani e fondatore di Viasna, la storica organizzazione bielorussa per i diritti civili. Nel 2022 è stato insignito del Premio Nobel per la Pace per la sua instancabile difesa dei diritti umani e dei prigionieri politici, mentre era già in carcere in condizioni molto dure, dove era stato condannato a una pena di dieci anni per accuse considerate largamente politiche da osservatori internazionali.


Un gesto dal forte significato simbolico… ma anche politico
La scarcerazione di Kolesnikova, Bialiatski e di altri 123 prigionieri arriva nel contesto di negoziati diplomatici con gli Stati Uniti, che hanno portato all’allentamento di alcune sanzioni statunitensi, in particolare su settori economici chiave come quello della potassa, un’importante esportazione bielorussa. Questo accordo mostra la volontà di Minsk di ridurre l’isolamento internazionale venutosi a creare dopo la repressione violenta delle proteste del 2020 e il sostegno alla Russia nella guerra contro l’Ucraina nel 2022.
Per il regime di Lukashenko, al potere dal 1994 con un controllo autoritario sul paese e una repressione sistematica dell’opposizione, questo tipo di concessioni ha un duplice scopo: ristabilire relazioni diplomatiche più stabili con l’Occidente e alleviare le pressioni economiche generate dalle sanzioni, tutto mantenendo il controllo politico interno.
Da quasi tre decenni Lukashenko domina la scena politica bielorussa con un regime definito da molti governi e osservatori internazionali come autoritarismo. Le elezioni sono ripetutamente contestate per irregolarità, i media e la società civile sono fortemente limitati, e le forze di sicurezza hanno perseguitato, arrestato o costretto all’esilio oppositori e attivisti. Anche dopo il massiccio movimento di protesta del 2020, che ha coinvolto centinaia di migliaia di cittadini, il governo ha risposto con arresti di massa, minacce e pratiche giudiziarie contro chiunque si opponesse al potere.
Nonostante le scarcerazioni, gruppi per i diritti umani avvertono che la repressione e la cultura di controllo politico non sono finite: restano ancora molte persone incarcerate con accuse politiche, mentre l’opposizione resta sotto pressione e molti leader continuano a vivere in esilio.
Quale futuro per la società bielorussa?
Per molti in Bielorussia e nella comunità internazionale, la grazia rappresenta un sollievo umano tangibile e un simbolo della resilienza dei difensori dei diritti civili. Tuttavia, resta il nodo della trasformazione politica di fondo: una reale apertura democratica non può essere sostituita da mosse tattiche in ambito diplomatico o economico.
Nel riscoprire volti come quelli di Kolesnikova e Bialiatski, chi cerca giustizia e libertà in Europa orientale porta con sé la speranza di un cambiamento profondo. Ma la storia recente del paese invita alla prudenza: la liberazione di oggi potrebbe non tradursi automaticamente in un futuro di maggior libertà per tutti.





