Alma Shalabayeva, moglie dell’oppositore kazako Mukhtar Ablayazov, riconosciuto dalla Gran Bretagna rifugiato politico nel 2011, è stata espulsa verso il Kazakistan dall’Italia il 31 maggio 2013, insieme alla figlia Alua, di sei anni. «Ma aver rinviato moglie e figlia di un oppositore e rifugiato in un Paese dal quale la famiglia era fuggita, Paese dove processi iniqui e torture sono all’ordine del giorno, costituisce un atto contrario al diritto internazionale», dichiara Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: «Il nostro Paese ha la responsabilità di garantire che Alma Shalabayeva e sua figlia non subiscano violazioni dei diritti umani. Tale responsabilità non cessa alla luce del provvedimento di revoca».
Amnesty International, in un rapporto pubblicato l’11 luglio scorso, accusa il presidente del Kazakhstan Nursultan Nazarbaev d’ingannare la comunità internazionale con promesse non mantenute di sradicare la tortura e indagare sull’uso della forza letale da parte della polizia. Le sevizie nei centri di detenzione sono la norma.
Il documento parte dalla repressione delle proteste di Zhanaozen, città del Kazakistan, nel 2011, quando almeno 15 persone furono uccise e altre 100 ferite gravemente dalla polizia. Decine di persone furono arrestate, imprigionate in celle sotterranee e torturate. Amnesty International, all’epoca, sollecitò il presidente Nazarbaev ad avviare un’inchiesta, come raccomandato dall’Alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navi Pillay. «Nonostante le autorità asseriscano continuamente di aver svolto indagini approfondite e imparziali, 17 mesi dopo le violenze di Zhanaozen non vi è stata alcuna giustizia per l’uso eccessivo e letale della forza, gli arresti arbitrari, i maltrattamenti e le torture su cui si sono basati innumerevoli processi irregolari», ha dichiarato Nicola Duckworth, direttrice delle Ricerche di Amnesty International.
Un’indagine avviata nel 2012 ha determinato la condanna solo di cinque dirigenti delle forze di sicurezza per “abuso d’ufficio”. Nessun provvedimento è stato preso nei confronti di altri funzionari e di chi aveva pubblicamente ammesso di aver sparato ai manifestanti.
Nel corso del processo nel 2012 a Roza Tuletaeva, attivista per i diritti dei lavoratori accusata di essere tra gli organizzatori delle proteste a Zhanaozen, la stessa ha denunciato di essere stata appesa per i capelli, quasi soffocata con una busta di plastica e di aver subito umiliazioni sessuali. Agenti delle forze di sicurezza minacciarono di far del male a sua figlia di 14 anni. Roza è stata condannata a cinque anni di carcere per “incitamento alla discordia sociale”.
Amnesty International, in un rapporto pubblicato l’11 luglio scorso, accusa il presidente del Kazakhstan Nursultan Nazarbaev d’ingannare la comunità internazionale con promesse non mantenute di sradicare la tortura e indagare sull’uso della forza letale da parte della polizia. Le sevizie nei centri di detenzione sono la norma.
Il documento parte dalla repressione delle proteste di Zhanaozen, città del Kazakistan, nel 2011, quando almeno 15 persone furono uccise e altre 100 ferite gravemente dalla polizia. Decine di persone furono arrestate, imprigionate in celle sotterranee e torturate. Amnesty International, all’epoca, sollecitò il presidente Nazarbaev ad avviare un’inchiesta, come raccomandato dall’Alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navi Pillay. «Nonostante le autorità asseriscano continuamente di aver svolto indagini approfondite e imparziali, 17 mesi dopo le violenze di Zhanaozen non vi è stata alcuna giustizia per l’uso eccessivo e letale della forza, gli arresti arbitrari, i maltrattamenti e le torture su cui si sono basati innumerevoli processi irregolari», ha dichiarato Nicola Duckworth, direttrice delle Ricerche di Amnesty International.
Un’indagine avviata nel 2012 ha determinato la condanna solo di cinque dirigenti delle forze di sicurezza per “abuso d’ufficio”. Nessun provvedimento è stato preso nei confronti di altri funzionari e di chi aveva pubblicamente ammesso di aver sparato ai manifestanti.
Nel corso del processo nel 2012 a Roza Tuletaeva, attivista per i diritti dei lavoratori accusata di essere tra gli organizzatori delle proteste a Zhanaozen, la stessa ha denunciato di essere stata appesa per i capelli, quasi soffocata con una busta di plastica e di aver subito umiliazioni sessuali. Agenti delle forze di sicurezza minacciarono di far del male a sua figlia di 14 anni. Roza è stata condannata a cinque anni di carcere per “incitamento alla discordia sociale”.


