(Paolo Nespoli e i suoi colleghi che vengono lanciati oggi con la Soyuz. Da sinistra: il cosmonauta italiano, il russo Sergey Ryazansky e l'americano Randy Bresnik - foto ESA)

 

Dieci minuti. Tanto impiega la Soyuz a raggiungere l’orbita. Per Paolo Nespoli, alla sua terza missione, il lancio non è un’esperienza nuova, anche se nello spazio non si può parlare di routine. Dopo aver volato a bordo dello Shuttle nel 2007 e aver trascorso sei mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale nel 2011, l’astronauta italiano torna in orbita a sessant’anni compiuti. Anche questa volta per una permanenza di sei mesi nel laboratorio spaziale, nella duplice veste di sperimentatore e (le parole sono sue) di cavia da laboratorio.

“Nello spazio – racconta Nespoli - l’età conta fino a un certo punto. Bisogna superare dei test medici, certo, che non guardano al sesso o all’anagrafe. E contano le performance. Addestrarsi in piscina simulando una attività extraveicolare per sei ore di fila è massacrante. E tu vieni valutato per i risultati. Essendo già stato nello spazio, ho un vantaggio dell’esperienza. Nessuno sa a priori come reagirai in orbita, perché le condizioni non possono essere riprodotte a terra. Perciò l’astronauta veterano rappresenta una specie di garanzia”.

Ex ufficiale paracadutista, Nespoli non è un fanatico dell’attività fisica. “Non sono un patito della palestra”, spiega. “Conosco astronauti che ci vanno tutti i giorni, io no. Mi piace fare un po’ di jogging un paio di volte la settimana, ma più che altro perché mi rilassa. Mentre corro ‘stacco’ la mente e ho il tempo per pensare. Quello che mi impongo è di camminare anziché prendere l’automobile nei percorsi più brevi ed evitare l’ascensore se devo fare un piano o due”.

La nuova missione dell’astronauta milanese sarà molto simile alla precedente, ma con qualche differenza. “Nel 2011 – dice Nespoli – a bordo della Soyuz ero l’ingegnere di volo. Ho trascorso un anno a imparare a pilotare manualmente la navicella russa in caso di avaria ai sistemi automatici e, durante il lancio, il rendezvous con la ISS e il rientro, ero indaffaratissimo. Questa volta, invece, sulla Soyuz sarò poco più che un passeggero. In compenso avrò maggiori responsabilità a bordo della Stazione Spaziale”. Il laboratorio internazionale, nato per iniziativa di 15 nazioni, dal 2000 è abitato permanentemente da astronauti americani, russi, europei, giapponesi e canadesi.

Quali sono i risultati scientifici ottenuti in questi anni?

“Intanto – racconta Nespoli - abbiamo imparato a vivere e a lavorare nello spazio, che era l’obiettivo principale. Quando si parla di ricerca scientifica sulla ISS si cita spesso lo studio sull’osteoporosi, per l’analogia fra questa malattia e l’effetto sulle ossa della permanenza in condizioni di microgravità. In realtà è solo un esempio, perché gli studi sono moltissimi, non soltanto nel campo della medicina, dell’invecchiamento dell’organismo e della biologia, ma anche in quello della fisica e delle applicazioni tecnologiche”.

Al pari del CERN, per quanto riguarda lo studio delle particelle, la Stazione Spaziale Internazionale è un formidabile esempio di collaborazione fra Paesi diversi. Dice Nespoli: “I risultati scientifici e tecnologici sono importanti, ma il più grande successo dell’ISS è quello di essere riuscita a unire nazioni lontanissime e farle lavorare insieme. Insieme e bene. Anche oggi, nonostante le tensioni internazionali, la collaborazione per quanto riguarda la Space Station prosegue senza restrizioni. E’ un progetto complesso, che ha avuto una gestazione difficile, ma che sta resistendo anche alle tempeste politiche”.

Che cosa porti con te nello spazio?

“Possiamo caricare sulla Soyuz solo un piccolo contenitore, della capacità di un decimetro cubo e pesante non più di un chilo e mezzo. Ho messo qualche fotografia e qualche oggetto da regalare a mia moglie e ai miei figli”.


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