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Non c’è tregua per l’Ucraina, né sul fronte bellico né su quello degli affari interni. Dall’Est, la regione di Donetsk, giungono notizie sempre più drammatiche per Pokrovsk, il principale targe attuale dell’offensiva russa. Il comandante in capo delle forze ucraine Oleksandr Syrskyi, che ha visitato l’area, smentisce che le truppe di Kyiv siano state accerchiate e che i russi abbiano preso il controllo della cittadina, abitata da 60mila persone prima della guerra, avamposto strategico del Donbas, la cui caduta lascerebbe aperta la strada verso Ovest alle forze di Mosca.
Ma la situazione sul campo è estremamente difficile per gli ucraini, per ammissione dello stesso presidente Zelensky, il quale ha affermato che qualsiasi decisione di ritirare le truppe spetta ai comandanti militari sul campo. A facilitare l'avanzata e l'ingresso dei russi nella cittadina è anche la nebbia fitta, che ostacola l'azione dei droni ucraini. Le cose non vanno meglio nella regione di Zaporizhzhia, dove le truppe ucraine si sono ritirate dal sesto villaggio nell’arco di due giorni.
Dal Canada, i ministri degli Esteri dei Paesi riuniti per il G7 ribadiscono con determinazione il sostegno all’Ucraina per la difesa della sua integrità territoriale e della sua libertà. Tuttavia in una intervista a Bloomberg Tv rilanciata sui social, il presidente ucraino ha ribadito la necessità di aumentare la pressione sulla Russia. E ha lanciato un allarme all’Occidente: «Considerando la situazione sul campo di battaglia, non vediamo che la Russia voglia fermarsi. Il problema è che, quando guardiamo all'industria militare russa, vediamo che stanno aumentando la loro produzione. E, secondo le nostre stime, vogliono continuare questa guerra. Dobbiamo riconoscere che vogliono una grande guerra, si stanno preparando per essere in grado, nel 2029 o 2030 - in quel periodo - di iniziare una guerra così grande. Sul continente europeo. Consideriamo questo una vera grande sfida».
Nel frattempo, oltre al conflitto, su Kyiv si è abbattuta anche la scure di un pesante scandalo per corruzione che ha colpito il settore energetico, proprio mentre gli attacchi russi mirano a mettere fuori uso le infrastrutture energetiche del Paese lasciando migliaia di persone senza luce e senza riscaldamento quando ormai il gelo dell’inverno è alle porte. Lo scandalo è esploso a seguito della maxi-operazione lanciata dall’Ufficio Nazionale Anticorruzione ucraino, che ha scoperto un sistema di corruzione nel settore energetico, con 100 milioni di dollari di fondi riciclati, che ha coinvolto Energoatom, la compagnia di Stato ucraina che gestisce le quattro centrali nucleari attive nel Paese (e produce quasi la metà dell’energia totale ucraina). Ad organizzare questo sistema sarebbe stato Timur Mindich, imprenditore vicino a Zelensky. Il presidente ha risposto allo scandalo chiedendo le dimissioni immediate del ministro per l’Energia German Galushchenko, e della ministra per la Giustizia, Svitlana Grynchuk, che hanno rimesso il loro incarico. L’Ufficio Anticorruzione (Nabu) aveva cominciato le sue indagini nell’estate del 2024. La maxi-operazione è stata chiamata “Mida”, dal nome del mitico re Mida figlio di Zeus che trasformava in oro tutto quello che toccava.
La lotta alla corruzione – piaga profonda in Ucraina - è una delle prerogative fondamentali per l’ingresso del Paese nell’Unione europea. Lo scorso luglio il presidente ucraino aveva dato il via libera a una legge, approvata dal Parlamento, che limitava l'indipendenza delle due agenzie di contrasto alla corruzione, l’Ufficio nazionale anti-corruzione (Nabu) e l’Ufficio del procuratore speciale anti-corruzione (Sapo). Ma le grandi proteste di piazza, nonché le critiche internazionali, in modo particolare quelle dell'Unione europea, hanno costretto Kyiv a fare un passo indietro e Zelensky ha firmato i decreti che hanno annullato la legge e ripristinato l'indipendenza dei due enti.
(Foto Ansa: il presidente ucraino Volodymyr Zelensky)



