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Non c’è nulla di più serio del buon intrattenimento: per costruire un grande evento spettacolare occorrono professionalità e rigore. “Eurovision Song Contest” (ESC), il consueto appuntamento di maggio con la gara canora che vede confrontarsi 37 Paesi, in onda questa settimana (due semifinali, e la grande serata finale di sabato), è diventato un modello di spettacolarità pop non solo da imitare, ma da cui anche il nostro “Sanremo” potrebbe imparare qualcosa.
Paradossi della storia: nel 1956 – quando i vertici dell’EBU, “European Broadcasting Union”, l’organizzazione internazionale che riunisce le emittenti pubbliche, realizzano a Lugano, in Canton Ticino, la prima edizione di ESC – il principale modello che hanno in mente è proprio il “Festival della Canzone Italiana” nato nel 1951. Un Sanremo per l’Europa, o meglio ancora, un grande evento per sperimentare le potenzialità dell’Eurovisione, lo strumento che connette e coordina le trasmissioni nello spazio europeo ed oltre. Da allora, ESC è l’unico caso di programma di successo che attraversa effettivamente i confini europei, e non solo, includendo per esempio anche le reti pubbliche di Australia o Israele (e, fino a qualche anno fa, anche Turchia e Russia).
Ma cosa ha da imparare oggi “Sanremo”? Fra qualche giorno sapremo se il ricorso che la Rai ha fatto per proteggere la sua organizzazione del Festival ha avuto successo. Non c’è dubbio che Sanremo sia il Festival della Rai, ma non blindarne i marchi, come ha fatto fin dalle orgini ESC, è di una grave ingenuità. E poi, Eurovision ha saputo darsi spazi adeguati a un evento televisivo, oltre a un modello di votazione altamente spettacolare. Ogni anno, il paese ospitante (quest’anno la Svizzera, che ha vinto l’edizione dello scorso) dà il meglio di sé nell’individuazione di una grande Arena (si tratta questa volta di St. Jakobshalle a Basilea), mentre la formula è ampiamente consolidata, anche coi suoi rituali. Lo è di sicuro il momento delle votazioni sabato sera, che include un mix fra giurie nazionali di qualità e televoto (ma non è mai possibile votare per il proprio Paese, per lo meno se vi si risiede). Anche se sappiamo che le speranze sono poche (sono favorite Austria, Svezia, Francia, Paesi Bassi e Danimarca), con una qualità musicale mediamente non eccelsa (ma meritano una menzione le canzoni di Portogallo, “Deslocado” dei Napa, e quella olandese cantata in francese da Claude, “C’est la Vie”) e nonostante tracce di italianità super-kitsch nelle canzoni di San Marino (Gabry Ponte) ed Estonia (il Tommy Cash di “Espresso Macchiato”), siamo senz’altro pronti a fare il tifo per la mascolinità poetica e sognante (“perché in fondo è inutile fuggire/dalla tue paure…”) del nostro Lucio Corsi.



