| "Perché sono orgoglioso di essere italiano" Raccontalo qui |
Roberto Benigni ci è viene in aiuto, rispondendo da par suo alla stessa domanda in una memorabile serata sanremese. La sua “esegesi” dell’inno di Mameli, esemplare lezione di storia del Risorgimento e insieme dissacrante, elegiaco pamphlet sull’Italia d’oggi, ha compiuto un piccolo miracolo: risuscitare quel sentimento per tanto tempo disprezzato, trascurato, perfino sbeffeggiato che si chiama amor patrio.
Il “professor” Benigni ci ha ricordato che l’Italia non è nata per caso, ma per l’eroismo di alcuni, uomini e donne, che per l’ideale dell’unità nazionale hanno dato la giovinezza, l’ingegno, la vita stessa. In pochi minuti, dal palco dell’Ariston, il “giullare” toscano ha sdoganato definitivamente quel genuino sentimento di orgoglio nazionale, assai diverso dallo sciovinismo, che altro non è se non l’amore per il luogo in cui si è nati e si vive. E che non è valore della destra o della sinistra, ma è valore e basta.
Spesso la nostra professione di informatori ci porta, invece, a evidenziare i motivi per i quali dovremmo vergognarci d’appartenere a questo Paese. Ci porta, doverosamente, a denunciare nefandezze e storture, svelare imbrogli e sconcezze. Per una volta, proviamo a concentrarci sul perché possiamo ancora dire: “sono fiero d’essere italiano”, anche correndo il rischio di scivolare sul piano inclinato dei luoghi comuni, perché perfino dietro gli stereotipi più triti, del tipo “siamo un popolo d’artisti, santi e navigatori”, sta un frammento di verità.
E poi, non scordiamoci che l’indignazione o la vergogna scaturiscono necessariamente dal loro opposto: l’orgoglio e l’ammirazione spontanei, che un brutto giorno sono stati traditi e oltraggiati. Se non fossimo consci, ad esempio, del tesoro storico-artistico che custodiamo a Pompei e non ne andassimo orgogliosi, non ci vergogneremmo per il crollo della domus del Gladiatore. E così, se non andassimo fieri dei nobilissimi ideali che infervorarono il giovane Mameli, donna Anita e tutti quei “giovani e forti” che “fecero l’Italia”, non saremmo, oggi, così intristiti davanti alle cronache quotidiane. Omaggiare i “Padri della patria” il 17 marzo con un giorno celebrativo a qualcuno può dispiacere, forse anche perché rivela impietosamente la distanza tra il “fare festa” e “fare festini”. E allora essere orgogliosi di sentirsi italiani val bene una festa. Buon 17 marzo.


