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L’affaire Sangiuliano-Bocci ha assunto contorni imbarazzanti, se non inquietanti. Non si tratta di colpevolizzare la debolezza “sentimentale” del ministro: sappiamo bene quanto e come l’intera storia umana sia costellata di intrecci tra alcova e potere. E, se anche si volesse trascurare questa macroscopica evidenza, resta il fatto che la fede cristiana ci impone non solo comprensione e assenza di giudizio verso chi pecca, ma anche misericordia e accoglienza. È bene sorvolare dunque volontariamente sui dettagli più o meno piccanti della liaison tra Sangiuliano e la bella consulente pompeiana che tanto stanno attirando l’attenzione dei media. Doveroso, invece, cogliere l’allarme nel modo in cui la vicenda si sta gestendo in termini di comunicazione.
L’esternazione del ministro in esclusiva sul Tg1, con tanto di lacrime ed esibizione degli estratti conto che documentano che i viaggi della Boccia sono stati pagati di tasca sua e non col denaro pubblico, è un segno fortemente preoccupante. L’uso della tv di Stato per affermare le proprie ragioni pone innanzitutto degli interrogativi sul piano della deontologia dell’informazione che non è e non può mai essere prona al potere, megafono di questa o quella coalizione. Per quanto l’intervistatore si sia sforzato di instaurare una sorta di contraddittorio sulle questioni più spinose, il prodotto finale è stato quello di consegnare al pubblico l’immagine di un uomo “buono”, vittima suo malgrado. Ma queste sono solo le sue ragioni, il vero contraddittorio avrebbe richiesto anche la replica immediata della dottoressa accusatrice. È quindi inammissibile che la Rai venga usata a un fine che ha tutta l’aria di essere propagandistico, con scarsa attenzione per i valori fondanti della libertà di stampa e della correttezza dell’informazione.
Altro aspetto critico non trascurabile va colto in alcuni passaggi del “discorso alla nazione” di Sangiuliano. Nell’ammettere di aver avuto una relazione sentimentale con la «dottoressa Boccia» (ha continuato a chiamarla così per tutta l’intervista) e nel chiedere scusa in lacrime alla moglie («la persona più importante della mia vita») ha gettato nella grande ribalta mediatica anche la consorte che ora è diventata la “tradita” su cui fiorisce la morbosa curiosità generale. Proteso, quindi, a far passare di sé l’immagine del pentito, dell’uomo per cui la famiglia viene comunque prima di tutto, ha finito per dimenticare i contraccolpi che tutto questo può avere sulla serenità di una persona verso la quale proclama amore vero, al di là dello sbaglio occasionale. L’amore però richiede anche rispetto per la dignità dell’altro e le stesse scuse, se nel privato assumono una valenza senz’altro positiva e persino meritoria, sbandierate in pubblico assumono un tratto decisamente egoistico, in cui la difesa del sé (se non della propria posizione di potere) prevale sul bene dell’amata.
Di dubbio gusto anche la motivazione che Sangiuliano ha fornito sulle ragioni che spingerebbero la Boccia alle sue rivelazioni: «Posso capire la sua delusione sentimentale». La dottoressa insomma agirebbe per essere stata scaricata, un cliché che rievoca un certo maschilismo d’antan.
Non meno grave è il fatto che ancora una volta la via scelta per fornire chiarimenti doverosi sulla condotta di un ministro non sia stata quella istituzionale, ossia le risposte fornite in Parlamento, ma un’intervista televisiva, per creare pubblica opinione favorevole a monte. Se è vero che Sangiuliano aveva solo pensato di conferire alla Boccia una consulenza gratuita, ma che poi, come ha spiegato davanti alla telecamera che inquadrava la stampata della sua email con l’ordine di bloccare l’incarico, ha cambiato idea, ascoltando chi gli faceva notare il problema del conflitto di interessi, resta il fatto che l’iniziale “pensiero stupendo” del ministro pone giustificate preoccupazioni per il futuro, in merito alla capacità di discernimento e al controllo dei propri slanci personali, che dovrebbero orientare la condotta di ogni carica dello Stato.
Il ministro sostiene che la Meloni lo ha incoraggiato ad «andare avanti», ma che comunque è pronto a rassegnare «le dimissioni subito, se dovesse chiedergli di farlo». Se la premier volesse essere coerente con le tante sue arringhe moralizzatrici del recente passato, anche solo quelle durante il governo Draghi, questa richiesta non dovrebbe tardare. In gioco c’è la credibilità dell’intero assetto istituzionale, verso l’interno ma anche nel panorama internazionale.



