Nell’ancora iniziale ed incerto dibattito sulla prossima legge di bilancio emerge anche, secondo quanto riportato da “Repubblica”, l’ipotesi di una significativa revisione dell’assegno unico. In sé la notizia sarebbe positiva: qualcosa da aggiustare ci sarebbe di sicuro. Per esempio, il fatto – negativo - che l’assegno unico fa cumulo nell’ISEE, e così molte famiglie diventerebbero più ricche, proprio perché ricevono l’assegno, e quindi perdono altri benefici o agevolazioni. Insomma, lo Stato con una mano ti dà (l’assegno), con l’altra ti toglie (sconti sulle tariffe di mensa, scuole, trasporti, ecc.).

Ma purtroppo non sarà questa – almeno secondo Repubblica – l’azione prevista. Invece, si prevede di intervenire sulle varie aliquote, e soprattutto di intervenire “a saldi invariati”. In altre parole, si darà qualcosa di più a qualcuno, togliendo qualcosa a chi già riceve l’assegno, senza aggiungere alcuna risorsa a sostegno delle famiglie. Sembra sotto tiro l’assegno per i redditi più alti, quelle 57 euro al mese che si ricevono solo richiedendo l’assegno, senza nemmeno presentare l’ISEE (o con ISEE superiore ai 45.000 Euro).

Ma questa ipotesi appare davvero inaccettabile. Infatti l’assegno unico si chiama anche “universale” (parola troppo spesso dimenticata), indicando così che ogni figlio va sostenuto, e quei 57 euro mensili (ben poca cosa, a fronte dei 650 euro mensili di costo stimato per ogni figlio) difendevano questo principio. Ricordiamo che in Germania l’assegno ammonta a circa 220 Euro al mese, per tutti, senza alcuna differenza sui redditi, e comunque cifra superiore anche alla quota più alta di assegno unico nel nostro Paese. Questo vuol dire essere davvero universale!

Purtroppo, ancora una volta si confondono le politiche di contrasto alla povertà con le politiche familiari e di sostegno alla natalità. Ci saremmo piuttosto aspettati un ulteriore investimento sull’assegno unico, a segnalare una priorità che da discorso politico teorico diventa finalmente anche scelta concreta di politica economica applicata. Altro che “a saldi invariati”! E dove finisce tutta la retorica sull’emergenza natalità, se non si sostengono gli strumenti presenti con ulteriori risorse? Se si vuole davvero rilanciare la natalità, bisogna spostare quote di Pil su bambini e famiglie giovani! Confidiamo che gli scenari ipotizzati da Repubblica non divengano realtà – c’è ancora tempo per ripensarci!

Insomma: l’assegno unico è certamente perfettibile, ma occorre intervenire difendendo i suoi criteri virtuosi, non indebolendoli: continuità dell’intervento fino ai 21 anni, platea dei destinatari universalistica, nessuna confusione con le politiche contro la povertà: se invece si fanno passi indietro su questi criteri, allora l’assegno unico diventa uno strumento sbagliato, e serve tornare all’ipotesi di una riforma fiscale a misura di famiglia.

In fondo lo avevamo già ricordato, su queste stesse pagine, anche a fine luglio, commentando la procedura di infrazione dell’Unione Europea all’assegno unico, ed è difficile scriverlo con parole diverse: “se al posto di una misura assistenziale (come di fatto è l’assegno unico), si fosse adottata una politica fiscale familiare (come il quoziente familiare, o il FattoreFamiglia), questo tipo di rilievi e di possibili infrazioni non si sarebbe verificata, data la differente natura dei diritti e delle titolarità. Del resto, la leva fiscale è il primo spazio di cittadinanza attiva, diritto e dovere di ogni cittadino, e riconoscere alla famiglia una rilevanza (se non una soggettività) fiscale avrebbe significato riconoscerle anche piena cittadinanza. Invece, l’assegno unico, in quanto misura assistenziale, conferma un modello erogatorio in cui la famiglia “chiede”, e lo stato graziosamente eroga”. Ma alle famiglie servono diritti certi, non interventi discontinui ed assistenziali.

 

*direttore Cisf (Centro Internazionale studi Famiglia)