Ci sono stati dei cattolici che non hanno preso bene il cambio di denominazione dello stadio di Napoli, fortemente voluto dal sindaco  Luigi De Magistris, dalla tifoseria azzurra e forse anche da gran parte dell’opinione pubblica. Apparentemente il cambio è stato una “rovesciata” in grande stile. Il nome di un santo è stato sostituito col nome di uno che era tutto, eccetto che un santo.

Sotto la spinta  dello tsunami emotivo suscitato dalla morte del grande calciatore Diego Maradona,  il Comune della città partenopea ha votato il 4 dicembre 2020  una delibera con la quale ha messo sotto il patrocinio del Pibe de oro lo stadio cittadino, chiamandolo Stadio Diego Armando Maradona. 

Il nome iniziale dell’impianto, inaugurato nel quartiere Fuorigrotta il 6 dicembre 1959, era Stadio del Sole, che anticipava nel nome l’autostrada del Sole, due opere e due simboli che contribuirono, in gradi e a titoli diversi, a mettere in moto una città e una nazione. Fino a ieri, lo stadio era conosciuto come Stadio San Paolo, nome ufficiale a partire dal 1963. Erano i tempi in cui la Chiesa e gran parte della società italiana si riconoscevano nel grande partito della Democrazia Cristiana, lo scudo crociato sotto la cui egida facevano squadra” fede cattolica e obiettivi sociali. In questo contesto, ancora non frammentato dalla rivoluzione culturale che sarebbe esplosa con il ’68 facendo crollare molti equilibri consolidati, non veniva considerata un’invasione di campo dare il nome di un santo a un prato verde sulle cui zolle 22 calciatori giocavano a pallone nel giorno di domenica. La partita poteva ben apparire una liturgia sostitutiva e laica della Messa che si celebrava in chiesa. Sugli spalti andava in onda un rito laico e altrettanto solenne con canti, cori, osanna e battimani.

Il santo che dava nome e protezione all’impianto sportivo partenopeo è il famoso Paolo di Tarso, apostolo di Cristo per eccellenza, autore di importanti lettere – la tradizione gliene ha attribuite tredici - inviate alle sue comunità sparse in diverse città dell’impero romano, tra cui Efeso, Salonicco, Corinto e Roma. Il suo pensiero teologico è stato di fondamentale importanza per la nascita e lo sviluppo del cristianesimo. Ancora oggi il suo epistolario è studiato, commentato, letto e pregato in tutto il mondo cristiano.

Quindi uno sponsor di altissimo profilo, questo Paolo di Tarso. Però leggendo le cronache dell’epoca, sembra che la scelta fosse stata dettata dal semplice fatto che la nave su cui viaggiava l’Apostolo, veleggiando verso Roma, fece scalo a Pozzuoli, e si fermò in città una settimana. L’episodio è narrato dall’autore degli Atti degli Apostoli (At. 28, 13-14). Correva l’anno 61 d.C. Fino all’età di Nerone, quello di Pozzuoli era il porto più importante per la capitale dell’Impero. Ed era normale che le navi dirette a Roma vi facessero scalo.

L’impianto sportivo era stato costruito a Fuorigrotta, nei quartieri occidentali di Napoli, che sorgono sul versante del Golfo che guarda verso la città dove Paolo aveva sostato. A occhio e croce, il percorso tra Fuorigrotta a Pozzuoli dura il tempo dell’intervallo tra il primo e il secondo tempo di una partita di calcio. Sicuramente, un legame molto tenue con il grande evangelizzatore, come tenue è la preoccupazione di un portiere  su un calcio di punizione tirato da distanza siderale verso la sua porta. E’ vero però che il quartiere Fuorigrotta appartiene alla diocesi di Pozzuoli e non a quella di Napoli. Ma è pur sempre una questione di territori e di distanze. Nella scelta di Paolo come titolare non c’era stato nemmeno un richiamo al fatto che l’Apostolo di Cristo fosse l’unico scrittore del Nuovo Testamento che parla esplicitamente di attività sportive come fosse un professionista. Parla di pugilato, di corsa negli stadi, di combattimento e di agonismo. Sembra essere un esperto preparatore atletico, conosce l’importanza degli allenamenti, della necessità dello sforzo fisico, della concentrazione e dell’impegno costante, necessari per raggiungere la vittoria. Naturalmente per Paolo le virtù dell’atleta vincente erano una metafora della serietà e della totale dedizione al Vangelo e a Cristo.

Dicevamo che un certo numero di cattolici (tra cui anche alcuni sacerdoti della diocesi di Pozzuoli) si sono sentiti presi in contropiede dalla decisione del cambio di nome. Al grido di “Resti san Paolo”, hanno fatto sentire la loro voce di dissenso contro la proposta del consiglio comunale del capoluogo campano: «Il grande Diego – hanno argomentato – ha sperimentato in modo acutissimo la fragilità umana: è stato cocainomane, si è seduto a tavola con i camorristi di questa città, gli stessi che hanno ordinato l’uccisione di Annalisa Durante e di tante altre vittime innocenti, ha lasciato figli ovunque perché non sapeva coltivare un rapporto d’amore e di fedeltà… Ora è incredibile che un santo che ha dato la vita per i valori del Vangelo venga scalzato da un calciatore…».

D’altro canto il vescovo della diocesi di Pozzuoli, monsignor Gennaro Pascarella, ha dato il via libera alla proposta di de Magistris, affermando che l’intitolazione a Maradona del principale impianto sportivo della città «potrebbe aiutare la crescita umana e sociale della nostra terra». Più cauto il cardinale di Napoli Crescenzio Sepe, che ha preferito non entrare nel merito; da “sportivo e appassionato di calcio” e ammiratore del genio calcistico di Maradona, lo ha ricordato «nelle sue preghiere e nella messa, affidando l’anima del famoso defunto a Dio misericordioso». Anche L’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, non è voluto entrare a gamba tesa nella diatriba tra chi approvava e chi contestava il cambio del nome. In occasione delle morte del Pibe de oro, si è limitato a rendere onore al più grande calciatore di tutti i tempi con un editoriale in prima pagina del suo direttore.

Questi, per sommi capi, i fatti. S’impone una riflessione, perché ancora una volta si  è creata una mischia secondo me un po' scomposta, attorno a un avvenimento che chiede di essere semplicemente compreso nella sua giusta dimensione.

Se ci si consente la metafora calcistica, potremmo dire scherzosamente che clero e vescovo di Pozzuoli, che si sono contrapposti nel cambio del “protettore” allo stadio, sono finiti in fuori gioco. Ambedue i contendenti, perfettamente in buona fede, hanno assolutizzato il loro punto di vista come fosse l’unico possibile. Alcuni preti e altri cattolici temendo una specie di desacralizzazione dell’impianto sportivo (“un santo scalzato da un calciatore”), come se però - attenzione - uno stadio fosse una chiesa. Il vescovo attribuendo al cambio un valore forse un po’ eccessivo (“crescita umana e sociale della nostra terra”). Ma ci sono anche ragioni da vendere da entrambe le "parti".

Eppure hanno ragione i preti di Pozzuoli quando sottolineano le grandi fragilità (per non dire i devastanti dèmoni) di cui è rimasto vittima l’uomo Maradona. Tanto che si fa fatica a pensare di poterlo proporre come “modello” e icona positiva ai ragazzi, ai giovani e alle famiglie. E nemmeno è possibile additarlo come esempio di lealtà sportiva. Il gol fatto all’Inghilterra durante i campionati del mondo del 1990 non va attribuito, come hanno blaterato commentatori e media di mezzo mondo, alla mano de Dios ma più propriamente alla mano del Diablo, perché frutto di inganno e di mistificazione. Eppure ha avuto ragione anche  il vescovo, perché ha pensato che cambiare il nome non fosse una blasfemia ma l’applicazione di una normale logica sportiva.

La scelta dell’amministrazione partenopea risponde ai criteri interni del mondo dello sport e non può essere contestata con argomentazioni che vengono da altri ambiti, soprattutto da quello religioso. La fede è una cosa, lo sport un’altra. Queste due realtà vivono dinamiche che hanno poco da spartire tra loro. Forse la soluzione ideale sarebbe stata quella adottata per lo stadio di Milano, dove la dedica a Giuseppe Meazza non ha cancellato quella a San Siro (anche se in questo caso i consiglieri comunali quandovenne inaugurato pensarono più al nome dell'omonimo quartiere) così che il nome del campione e del santo sono sinonimi e procedono di pari passo a seconda delle scelte soggettive di abitanti e tifosi.

Torna comunque utile, anche se adattata, una parola del Vangelo: Date a Dio quel che è di Dio e a Maradona quel che è di Maradona.