Cari lettori, forse voi non ve ne siete mai accorti ma noi stiamo realizzando i vostri settimanali e il lavoro sul sito lavorando quattro giorni alla settimana e non cinque. E questo accade da ormai quattro anni. Se non ve ne siete accorti è perché amiamo il nostro lavoro e lo abbiamo fatto sempre al meglio. Lo facciamo lavorando un giorno in meno perché dal 2014 siamo in cassa integrazione. E nel mentre ci riduciamo di numero, siamo sempre di meno.
Nonostante tutto ciò, ora la nostra azienda intende chiedere ancora di più. Per questo tutti noi giornalisti della Periodici San Paolo (che edita famigliacristiana.it, Famiglia Cristiana, Credere e Jesus), il 14 dicembre scorso abbiamo fatto un giorno di sciopero e di digiuno. Sì, proprio così. Ci siamo astenuti dal lavoro e dal cibo. Tutti e 29. Speriamo non sia il primo di una lunga serie. Vi vogliamo spiegare perché.
L’azienda vi dirà che protestiamo solo per mantenere dei privilegi, vi diranno che non siamo disposti a fare sacrifici “necessari” – come dicono loro – per salvare la Periodici San Paolo. Se ripeteranno il ritornello delle interviste comparse sui media nei giorni scorsi le spareranno anche piuttosto grosse, affermando, ad esempio, che percepiamo 20 mensilità e che il sacrificio che ci chiedono, a fronte dei lauti guadagni che vi fanno immaginare, a confronto è poca cosa. Be’, scrivano ciò che vogliono, noi e soprattutto le nostre famiglie sappiamo che non è vero. Di mensilità ne prendiamo 13, come tutti, e da quattro anni a questa parte i sacrifici a cui ci hanno costretto sono stati pesantissimi: tagli sempre più dolorosi e sempre meno sopportabili. Quattro anni di ricorso ininterrotto agli ammortizzatori sociali, che ha colpito in modo sempre più duro i circa 150 dipendenti (fra i quali noi 29 giornalisti laici), durante i quali chi ha subito la decurtazione dello stipendio del 20 o del 30 per cento è fra i fortunati. Altri sono stati costretti ad andarsene, oppure sono stati messi in cassa integrazione al 50, 70 o anche al 100 per cento.
Ci hanno sempre ripetuto che poi sarebbe andata meglio. Invece è andata peggio. Infatti, ora ci chiedono poco meno della metà dello stipendio. Avete letto bene: quasi la metà.
E nonostante possiate ben capire che è una decurtazione insopportabile e schiacciante, vogliamo comunque dirvi che, per noi, non è questo il problema più grave: è che i “tagli dei costi”, lo slogan più di moda fra i nostri dirigenti, è l’unica cosa che sanno progettare. Non ci sono idee per il futuro, non c’è adeguato sostegno alle testate che pubblichiamo, non c’è strategia, non ci sono investimenti tecnologici né nuovi prodotti in vista. Ci sono i tagli, costi quel che costi, senza nessun rispetto per le donne e gli uomini che lavorano alla Periodici San Paolo. Siamo ridotti a una riga di bilancio da far quadrare. Perciò abbiamo digiunato: per dire simbolicamente che abbiamo fame di progetti in grado di mantenere alta la qualità dell’informazione delle nostre testate e autorevole la sua presenza nel mondo dell’informazione e della cultura del nostro Paese. Qualità e autorevolezza che stiamo perdendo, perché non siamo più messi nelle condizioni di fare bene il nostro lavoro per voi.
L’insensata attuale corsa al taglio dei costi, invece, impoverirà noi, e prima ancora le nostre testate. Al termine ci saranno soltanto macerie.
Col digiuno abbiamo voluto lanciare un grido d’allarme, e continueremo a farlo, perché pensiamo che si sia ancora in tempo a cambiare strada. Prima che sia troppo tardi.
Il Comitato di Redazione della Periodici San Paolo


