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È raro vedere la Basilica di San Paolo fuori le Mura così gremita. Eppure, domenica 15 giugno, uno di quei miracoli che solo la santità sa compiere ha riempito le navate di uno dei luoghi più solenni di Roma. Preghiera, festa e commozione hanno accompagnato la beatificazione di Floribert Bwana Chui, giovane laico congolese, martire della giustizia, della fede e della coscienza.
Una presenza africana forte, commossa, vitale: erano in maggioranza congolesi, venuti oltre che dalla Repubblica Democratica del Congo, da ogni parte d’Italia e d’Europa, a fare da cornice vivente a questa memoria di coraggio e di Vangelo vissuto fino in fondo. Con loro, la Comunità di Sant’Egidio, a cui Floribert apparteneva, presente con il suo fondatore Andrea Riccardi, che al termine della celebrazione ha preso la parola con un intervento toccante, dopo quello pronunciato dal cardinale Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa, a nome della Chiesa congolese. La beatificazione si è svolta a Roma anche per l’insicurezza che da anni regna a Goma e in tutto il Kivu.
Presiedeva la liturgia il cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero per le Cause dei Santi, che ha proclamato la beatificazione a nome di papa Leone XIV e nell’omelia ha definito Floribert un «maestro di speranza» per tanti giovani africani, «cui insegna a non lasciarsi vincere dal male, ma a vincere il male con il bene», ma anche per tutti, perché nel suo esempio «tanti giovani di tutto il mondo possono scoprire la forza del bene e di fare il bene, resistendo alle lusinghe di una vita dominata dalla paura e dal denaro».
Era stato papa Francesco, nel novembre 2024, a riconoscere il martirio di Floribert “in odio alla fede”, aprendo la via al suo riconoscimento ufficiale tra i beati.
Floribert era nato a Goma nel 1981. A soli 26 anni, lavorava come funzionario doganale al confine tra il Congo e il Rwanda. Era un giovane impegnato nella fede e profondamente cosciente della responsabilità morale del suo lavoro. Nel luglio 2007, si oppose con decisione a un tentativo di corruzione: si rifiutò di far passare alcune partite di alimenti avariati in cambio di denaro. Erano destinate al mercato, e quindi a danneggiare la salute della popolazione più vulnerabile. Per questa sua fedeltà alla verità e alla vita altrui, fu sequestrato, torturato e infine ucciso. Il suo corpo fu ritrovato il 7 luglio. Una morte atroce, ma limpida come la sua coscienza. Nell'omelia il cardinale Semeraro ha ricordato questo momento, definendolo il momento della «grazia a caro prezzo» vissuto dal giovane Floribert: «Fu quando con le minacce e le lusinghe della corruzione gli fu chiesto di far passare alla dogana del cibo avariato che avrebbe avvelenato le tavole della gente di Goma. Egli, nutrito dalla Parola di Dio e dall’Eucarestia, si chiese: “Se faccio questo, sto vivendo in Cristo? Sto vivendo per Cristo?”. “Come cristiano – così si rispose – non posso accettare di sacrificare la vita delle persone. È meglio morire che accettare questi soldi».
«Il suo è un martirio legato alla corruzione, al culto del denaro a tutti i costi, che continua a minacciare la dignità e il futuro non solo dell’Africa, ma del mondo intero», ha scritto la Comunità di Sant’Egidio nel comunicato che annunciava la beatificazione, «Floribert ci lascia un’eredità preziosa. Una fede vissuta pienamente, capace di resistere al male e di illuminare la vita degli altri. È un esempio per tutti noi, per i giovani, per chi crede nella giustizia e non vuole cedere all’indifferenza».
Erano presenti alla celebrazione la madre e i fratelli di Floribert, che hanno portato all’altare in un gesto carico d’intensità la reliquia del nuovo Beato: l’abito da lui indossato nel momento del martirio.
Presenti anche numerosi rappresentanti, ministri e ambasciatori, dell’autorità pubblica congolese, ed esponenti della Chiesa cattolica congolese, tra cui monsignor Willy Ngumbi, vescovo di Goma, oltre al cardinale di Kinshasa Fridolin Ambongo e al presidente della conferenza episcopale e arcivescovo di Lubumbashi Fulgence Muteba.
I canti in swahili e il ritmo africano si sono alternati allo stile della liturgia propria di Sant’Egidio, in una sinfonia che raccontava l’universalità della Chiesa e l’unità nella diversità.
Andrea Riccardi ha ricordato che Floribert parla al nostro tempo, segnato dal culto del denaro e della forza. La sua è una voce giovane, africana, piena di speranza. Il suo sogno era semplice e profondo: che i giovani potessero vivere come fratelli, sedersi insieme a una tavola comune. Per questo aveva scelto la Comunità di Sant’Egidio, dove si costruisce la pace partendo dalle relazioni, dal rispetto, dalla solidarietà. «Tutti hanno diritto alla pace nel cuore», diceva.
Oggi il suo cuore parla al nostro. Il suo gesto non è solo un atto eroico individuale, ma il segno che anche in un contesto difficile, come la regione del Kivu, attraversata da anni da conflitti e tensioni, la santità è possibile. Anzi, necessaria.
La sua scelta parla a tutti, anche al di fuori del Congo. È una parola di verità per i giovani d’Europa spesso disorientati, per gli adulti rassegnati, per i responsabili della cosa pubblica, per chiunque si trovi, ogni giorno, a decidere se cedere o resistere.
Floribert è il quarto beato congolese. Prima di lui, erano stati beatificati: nel 1985 la religiosa Anuarite Clémentine Nengapeta; nel 1994 il catechista Isidore Bakanja e nel 2023 il sacerdote Albert Kisonga Jolibert, originario della diocesi di Uvira.



