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«Ritengo che don Michele Delle Foglie sia stato imprudente e pervicace nell’insistere a celebrare una messa di suffragio per il boss Rocco Sollecito dopo che un’analoga richiesta era stata vietata l’estate scorsa. Per i fedeli sarebbe stato un motivo di scandalo. E poi il parroco non mi aveva avvisato, io non ne sapevo nulla».
Al telefono, monsignor Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari, spiega la sua decisione di scrivere una lettera al parroco di Grumo Appula, don Michele Delle Foglie, vietandogli di celebrare la messa di suffragio per il boss italo-canadese Rocco Sollecito, originario della cittadina pugliese ed esponente di spicco del crimine organizzato italiano in Canada, freddato a fine maggio a Montreal. Un delitto “eccellente” nella faida che ha decimato a partire dal 2010 il clan Rizzuto al quale apparteneva Sollecito.
«Qui», riprende l’arcivescovo, «non si tratta di non pregare per una persona defunta ma di evitare una manifestazione pubblica che avrebbe destato scandalo e disordine pubblico e con il rischio concreto di essere strumentalizzata dai familiari del defunto anche al di là delle intenzioni stesse, magari in buonafede, del parroco».
L’intervento deciso di mons. Cacucci di vietare la celebrazione della messa, prevista martedì pomeriggio alle 18.30 nella Chiesa Madre di Grumo e annunciata da un pubblico manifesto nel quale il parroco si diceva «spiritualmente unito» ai familiari di Sollecito, è arrivato dopo che il questore di Bari Carmine Esposito aveva firmato un’ordinanza nella quale chiedeva al sacerdote di spostare la celebrazione alle 6 del mattino per evitare pubblicità all’evento e tutelare l’ordine pubblico. Alla fine, martedì mattina non si è tenuta nemmeno la messa alle 6 e la chiesa è stata aperta regolarmente alle 7 per la normale messa mattutina.


L'Eucarestia non può mai essere motivo di scandalo
Spiega mons. Cacucci: «Non so perché don Michele abbia insistito nel celebrare una pubblica messa di suffragio a giugno e poi oggi, questo fa parte del mistero dell’uomo. Una cosa è certa: quello di Grumo Appula è un caso isolato perché i nostri sacerdoti e le nostre popolazioni non hanno alcun un atteggiamento di compiacenza o, peggio, di connivenza nei confronti della criminalità. Pauca corrigere, diceva san Leone Magno, correggere poche cose. Io intervengo raramente ma in questo caso era giusto farlo per due motivi: l’ordinanza del questore e perché la Chiesa deve anche educare la gente. Non si può far passare il messaggio che in vita si può agire da mafiosi, quindi in totale dispregio della morale cristiana, e poi da morti ricevere suffragi e omaggi pubblici. Ripeto: non è questione di non pregare per un mafioso ma il problema è di ciò che questo può significare. La Chiesa ha la facoltà talvolta di vietare anche i funerali, in casi particolari in cui il defunto abbia vissuto e agito in contrasto con la morale cristiana, e di vietare manifestazioni religiose come le processi a rischio di essere strumentalizzate dalla criminalità».
Mons. Cacucci spiega anche di essere intervenuto a tutela del sacramento eucaristico: «In base al Codice di Diritto canonico, il vescovo ha il compito di intervenire quando c’è il rischio di una strumentalizzazione della messa e per contenere lo scandalo. L’Eucarestia non può mai essere un motivo di conflitto, la riconciliazione e la richiesta di misericordia deve avvenire in un contesto il più possibile sereno».
Arriveranno provvedimenti disciplinari per don Michele adesso? «No perché non c’è motivo», risponde Cacucci, «il parroco si è attenuto alle mie indicazioni e ha rinunciato a celebrare la messa. Ripeto: è giusto pregare per tutti i defunti ma in certi casi bisogna farlo evitando di dare scandalo come poteva succedere in questo caso».





