Nell’estate del 1981 con Isabella Bossi Fedrigotti stavamo sedute al tavolo della redazione Esteri del Corriere della Sera, uniche donne, fresche di professione, in quella sala Albertini che in quegli anni era ancora il centro vivo della redazione. Si scriveva di Mujaheddin e soprattutto di Solidarnosc, pronti a ribattere nel caso ai cantieri navali di Danzica in Polonia ci fossero stati stati ulteriori scontri o se Lech Walesa avesse fatto un nuovo discorso. Dopo 34 anni, nella sua casa a pochi passi dal grande quotidiano milanese fa bene al cuore constatare quanto ci abbia regalato passare dai macro assetti delle relazioni internazionali a quelli micro – ma altrettanto decisivi – delle relazioni personali.

Nel suo caso il viaggio lungo i fili sottili e tortuosi dei sentimenti e degli affetti ha dato vita a romanzi che riescono, prima o poi e immancabilmente, a far pensare al lettore “ma qui sta parlando proprio di me…”, come è accaduto a molti ad esempio leggendo Magazzino vita o Il catalogo delle amiche, e come accadrà a tanti leggendo Di buona famiglia, il secondo titolo che Famiglia Cristiana propone nella collana Romanzi di famiglia. In questo caso sarà la storia delle due sorelle, Virginia e Clara, così diverse nell’indole e nell’esistenza a segnare quasi un confine tra chi potrebbe identificarsi nell’una, vivace e anticonformista, o nell’altra, tranquilla e più sottomessa, per non parlare di chi potrebbe ritrovarsi in tante spaccature famigliari, più profonde quanto sono futili i motivi che le provocano.
Quasi come se la giornalista avesse il sopravvento sulla scrittrice e raccontasse fatti veri. «Ma nelle storie che scrivo tutto è inventato dal vero», racconta lei, che tra l’altro intrattiene da sempre con arguzia e calore al contempo una corrispondenza fitta coi lettori.

«Le storie reali vengono rivissute attraverso la fantasia e restituite diverse, ma vere nelle emozioni, i sentimenti, le sensazioni tanto che non di rado mi capita di sentirmi dire dalle persone più diverse “ma lei mi ha letto dentro”. Non mi potrò dimenticare un ragazzino di una scuola in Puglia, dove avevo tenuto un incontro parlando dei figli coinvolti nelle separazioni, che alla fine, tutto impacciato, mi si avvicina e mi dice: “Volevo dirle che il protagonista del suo libro sono io”. E pensare che in casa mia parlare dei sentimenti era vietato. L’unica cosa astratta che veniva nominata era il tempo meteorologico, ma solamente perché aveva un effetto importante sul terreno, le vigne, il raccolto…”

La stessa storia di Isabella Bossi Fedrigotti, del resto, pare un romanzo, a partire dalle radici della sua famiglia (raccontata nel suo libro più recente, Quando il mondo era in ordine, per Mondadori) che vive in Trentino, a Sacco, frazione di Rovereto, da quasi 600 anni, producendo vino da almeno tre secoli, come testimoniano i documenti dell’archivio dell’attuale azienda (in cui sono impegnati i fratelli di Isabella), tra cui un diploma di Maria Teresa, che concedeva al conte Gianpietro la licenza di commerciare i suoi vini nelle contrade dell’Impero.

«Ma è stato mio padre a intuire la necessità d’una profonda trasformazione e di abolire il commercio all’ingrosso e passare all’imbottigliamento. Fu lui a creare il primo “uvaggio bordolese” in Italia, ottenuto, cioè, con la vinificazione contemporanea di uve Merlot e Cabernet, le basi dei grandi vini di Bordeaux creando, il nuovo vino, a cui fu dato il nome di Fojaneghe rosso. Terra, tecnica, sole, neve…altro che sentimenti ed emozioni!»Presentare a un padre così, nel clima austero e semplice al contempo, in una casa dove si parlava il tedesco, la lingua della madre, e l’obbligatorio dialetto trentino, un fidanzato napoletano non deve essere stato facile, ma Isabella sorride ancora al pensiero della reazione del papà quando gli comunicò che voleva sposare Ettore Bossi (il compianto giornalista del Corriere della Sera da cui Isabella avrebbe poi avuto i due figli Vittorio ed Eduardo): «All’inizio non lo volle neppure incontrare anche se desiderava tanto che io e mia sorella ci sposassimo e ogni tanto ci diceva: “Ma lo sanno i vostri amici che cucinate così bene?”. Per poi finire a godere sempre la compagnia di Ettore e ad amare, quando andava a Napoli, trascorrere ore con il consuocero. Del resto, fare il genitore sta tutto nel trovare l’equilibrio tra seminare i valori e lasciare la libertà. Io stessa mi ci sono cimentata cercando di testimoniare gli stessi valori che tessono il filo di tutti i miei affetti, dai bisnonni, ai nonni, allo splendido nipotino, il “nuovo” Ettore Bossi, che da qualche mese ha illuminato la mia vita: il rispetto, l’onestà, la generosità e, ancor prima, il non presumere di sé, lo stare un passo indietro per non coprire la voce degli altri».