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Il deserto in Israele nasconde molti segreti. E ogni tanto decide di portarli alla luce del sole. Ma è proprio il sole, col suo immenso calore, che trasforma le sabbie desolate in veri e propri scrigni protettivi dei segreti stessi. Il Negev, deserto che si estende nel Sud del Paese, ha restituito ultimamente dei gioielli sepolti da secoli e conservati con straordinaria cura, come solo la natura sa fare.
Tra la città di Be’er Sheva ed Eilat, nei pressi del villaggio beduino di Hura, alcuni tecnici, che stavano disegnando il tracciato di una nuova strada, si sono trovati sotto i piedi un mosaico monumentale (12 m x 8,5 m) dell’epoca bizantina. Mille e cinquecento anni fa era il pavimento di una chiesa all’interno di un complesso monasteriale, che comprendeva edifici residenziali, magazzini e una cisterna per l’acqua. Il mosaico è di una bellezza travolgente. Ripuliti dagli archeologi, sono apparsi i colori originali delle tessere in tutta la loro intensità. Secondo l’archeologo Daniel Verga, le tessere musive furono sottoposte dai maestri bizantini a un trattamento che ha reso particolarmente vibranti e resistenti nel tempo i colori delle pietre adoperate: rossi, verdi, gialli e blu. I temi iconografici sono quelli tradizionali: motivi floreali e geometrici, immagini di uccelli e di fiori, scritte in lingua greca. Ma con una eccezione: sono disegnate anche delle croci che non potevano invece essere rappresentate in un mosaico basilicale, perché non fossero calpestate dai fedeli.
Timna, anch’essa tra Be’er Sheva ed Eilat, è una mgìa nel deserto rosso del Negev. La regione di Timna è definita la “silicon valley” dell’antichità. E’ segnata da un’intensa attività umana e da spettacolari architetture generate dalla natura. Qui sono ancora visibili i tunnel scavati nella roccia, da dove veniva estratto e lavorato il rame, metallo prezioso e tecnologicamente avanzato nell’ètà del Bronzo. Un gruppo di archeologi israeliani, guidati da Erez Ben-Yosef, ha rinvenuto in questo ambiente, molto adatto alla conservazione di antichi manufatti, pezzi di tessuto di oltre 3.000 anni fa, piccoli brandelli di stoffa appartenenti ai vestiti di chi dirigeva i lavori delle miniere. Alcuni di questi frammenti tessili fanno pensare a borse, a tende e a funi. I tessuti sono di insolita fattura e di altissima qualità, riccamente decorati e generalmente realizzati con lana di pecora. Sono stati trovati pezzetti di manufatti in lino. Lana e lino non venivano a quell’epoca prodotti localmente, ma giungevano forse dal nord di Israele, dalla fertile vallata del Giordano. Alcuni tessuti lasciano ancora intravvedere i colori e i disegni originali. Il vasto territorio desertico che va dal Mar Morto fino al Mar Rosso era abitato fin da epoca remota da genti Edomite. Gli archeologi israeliano sono perciò propensi ad attribuire agli Edomiti il possesso e l’uso delle stoffe trovate.
Migliaia e migliaia di anni fa Hattin era un vulcano. Oggi il vulcano, collassato su se stesso, ha preso la forma di una collina con due “corni”. Da qui il nome di corni di Hattin. L’altura vulcanica non è lontana da Tiberiade, nella bassa Galilea. I corni di Hattin sono diventati famosi perché assistettero nel luglio del 1187 ad una sanguinosa battaglia tra l’esercito crociato del regno di Gerusalemme e le forze musulmane comandate da Ṣalāḥ al-Dīn, conosciuto in occidente come Saladino.
Hattin è situato all’interno del cosiddetto “Sentiero del Vangelo”, una cammino a tappe percorso dai pellegrini cristiani, che va da Nazareth a Cafarnao. Si pensa che Gesù abbia fatto diverse volte durante la sua vita questa stessa strada nei suoi spostamenti verso il lago di Tiberiade. La località è anche metà di passeggiate ed escursioni nei fine settimana e nei giorni di festa, perché è all’interno di un Parco Nazionale. Il sig. Amit Haklai, che abita nei dintorni, racconta che era salito sulla collina insieme ai suoi bambini per fare la solita camminata salubre e panoramica. Tra le rocce e le pietre nere di basalto l’occhio gli cadde casualmente su un piccolo oggetto bianco. Incuriosito, lo raccolse e notò che la piccola pietra presentava delle incisioni e aveva la forma di scarabeo. I responsabili dell’Israel Antiquities Authority – alle quali fu inviato subito il curioso reperto - non ci misero molto a scoprire che il sig Haklai aveva trovato un prezioso scarabeo di Tutmosis III, il potente Faraone della diciottesima Dinastia che regnò dal 1479 al 1425 sull’Egitto. Tutmosis è rappresentato assiso in trono: di fronte ha il cartiglio con il suo nome in scrittura geroglifica. Lo scarabeo risale al periodo in cui l’Egitto estendeva il suo controllo politico e militare fino a nord dell’antica Palestina.
Ritrovamento casuale è stato anche quello fatto da Laurie Rimon nella parte orientale della Galilea, dove la donna si era recata per effettuare un percorso di trekking con un gruppo di amici. Laurie è stata la prima a scorgere tra l’erba una moneta d’oro. Il ritrovamento è apparso subito di grande rilevanza agli esperti di monete antiche. L’Antiquities Authority ha confermato la prima valutazione. Si tratta di una moneta d’oro dell’imperatore Traiano, di cui esiste al mondo un solo altro esemplare, conservato nel British Museum di Londra. La moneta è stata coniata a Roma nel 107 d. C. per celebrare il ricordo dell’imperatore Augusto,. La moneta faceva parte di una serie di emissioni volute da Traiano (98-117 d. C.), che dedicò al ricordo degli imperatori romani che lo avevano preceduto. Su un verso la moneta presenta il volto di profilo di Augusto, identificato con la scritta “Divus Augustus”; sull’altro sono raffigurate le legioni romane col nome di Traiano.
Tra la città di Be’er Sheva ed Eilat, nei pressi del villaggio beduino di Hura, alcuni tecnici, che stavano disegnando il tracciato di una nuova strada, si sono trovati sotto i piedi un mosaico monumentale (12 m x 8,5 m) dell’epoca bizantina. Mille e cinquecento anni fa era il pavimento di una chiesa all’interno di un complesso monasteriale, che comprendeva edifici residenziali, magazzini e una cisterna per l’acqua. Il mosaico è di una bellezza travolgente. Ripuliti dagli archeologi, sono apparsi i colori originali delle tessere in tutta la loro intensità. Secondo l’archeologo Daniel Verga, le tessere musive furono sottoposte dai maestri bizantini a un trattamento che ha reso particolarmente vibranti e resistenti nel tempo i colori delle pietre adoperate: rossi, verdi, gialli e blu. I temi iconografici sono quelli tradizionali: motivi floreali e geometrici, immagini di uccelli e di fiori, scritte in lingua greca. Ma con una eccezione: sono disegnate anche delle croci che non potevano invece essere rappresentate in un mosaico basilicale, perché non fossero calpestate dai fedeli.
Timna, anch’essa tra Be’er Sheva ed Eilat, è una mgìa nel deserto rosso del Negev. La regione di Timna è definita la “silicon valley” dell’antichità. E’ segnata da un’intensa attività umana e da spettacolari architetture generate dalla natura. Qui sono ancora visibili i tunnel scavati nella roccia, da dove veniva estratto e lavorato il rame, metallo prezioso e tecnologicamente avanzato nell’ètà del Bronzo. Un gruppo di archeologi israeliani, guidati da Erez Ben-Yosef, ha rinvenuto in questo ambiente, molto adatto alla conservazione di antichi manufatti, pezzi di tessuto di oltre 3.000 anni fa, piccoli brandelli di stoffa appartenenti ai vestiti di chi dirigeva i lavori delle miniere. Alcuni di questi frammenti tessili fanno pensare a borse, a tende e a funi. I tessuti sono di insolita fattura e di altissima qualità, riccamente decorati e generalmente realizzati con lana di pecora. Sono stati trovati pezzetti di manufatti in lino. Lana e lino non venivano a quell’epoca prodotti localmente, ma giungevano forse dal nord di Israele, dalla fertile vallata del Giordano. Alcuni tessuti lasciano ancora intravvedere i colori e i disegni originali. Il vasto territorio desertico che va dal Mar Morto fino al Mar Rosso era abitato fin da epoca remota da genti Edomite. Gli archeologi israeliano sono perciò propensi ad attribuire agli Edomiti il possesso e l’uso delle stoffe trovate.
Migliaia e migliaia di anni fa Hattin era un vulcano. Oggi il vulcano, collassato su se stesso, ha preso la forma di una collina con due “corni”. Da qui il nome di corni di Hattin. L’altura vulcanica non è lontana da Tiberiade, nella bassa Galilea. I corni di Hattin sono diventati famosi perché assistettero nel luglio del 1187 ad una sanguinosa battaglia tra l’esercito crociato del regno di Gerusalemme e le forze musulmane comandate da Ṣalāḥ al-Dīn, conosciuto in occidente come Saladino.
Hattin è situato all’interno del cosiddetto “Sentiero del Vangelo”, una cammino a tappe percorso dai pellegrini cristiani, che va da Nazareth a Cafarnao. Si pensa che Gesù abbia fatto diverse volte durante la sua vita questa stessa strada nei suoi spostamenti verso il lago di Tiberiade. La località è anche metà di passeggiate ed escursioni nei fine settimana e nei giorni di festa, perché è all’interno di un Parco Nazionale. Il sig. Amit Haklai, che abita nei dintorni, racconta che era salito sulla collina insieme ai suoi bambini per fare la solita camminata salubre e panoramica. Tra le rocce e le pietre nere di basalto l’occhio gli cadde casualmente su un piccolo oggetto bianco. Incuriosito, lo raccolse e notò che la piccola pietra presentava delle incisioni e aveva la forma di scarabeo. I responsabili dell’Israel Antiquities Authority – alle quali fu inviato subito il curioso reperto - non ci misero molto a scoprire che il sig Haklai aveva trovato un prezioso scarabeo di Tutmosis III, il potente Faraone della diciottesima Dinastia che regnò dal 1479 al 1425 sull’Egitto. Tutmosis è rappresentato assiso in trono: di fronte ha il cartiglio con il suo nome in scrittura geroglifica. Lo scarabeo risale al periodo in cui l’Egitto estendeva il suo controllo politico e militare fino a nord dell’antica Palestina.
Ritrovamento casuale è stato anche quello fatto da Laurie Rimon nella parte orientale della Galilea, dove la donna si era recata per effettuare un percorso di trekking con un gruppo di amici. Laurie è stata la prima a scorgere tra l’erba una moneta d’oro. Il ritrovamento è apparso subito di grande rilevanza agli esperti di monete antiche. L’Antiquities Authority ha confermato la prima valutazione. Si tratta di una moneta d’oro dell’imperatore Traiano, di cui esiste al mondo un solo altro esemplare, conservato nel British Museum di Londra. La moneta è stata coniata a Roma nel 107 d. C. per celebrare il ricordo dell’imperatore Augusto,. La moneta faceva parte di una serie di emissioni volute da Traiano (98-117 d. C.), che dedicò al ricordo degli imperatori romani che lo avevano preceduto. Su un verso la moneta presenta il volto di profilo di Augusto, identificato con la scritta “Divus Augustus”; sull’altro sono raffigurate le legioni romane col nome di Traiano.



