Esce oggi nelle sale cinematografiche Tiro libero, di Alessandro Valori, un film ispirato a una storia vera sul processo di maturazione e consapevolezza, all’insegna anche della fede, di un giovane che trasforma una disgrazia in un’opportunità di riscatto. Nelle vesti di produttore e protagonista Simone Riccioni, un volto noto della pubblicità e che ha interpretato anche Universitari - Molto più che amici, di Federico Moccia e Come saltano i pesci, sempre di Valori. Lo affiancano nei panni dei genitori Nancy Brilli e Antonio Catania.

Dario (Simone Riccioni) è un ragazzo abituato ad avere tutto quello che vuole: con le ragazze, da una famiglia agiata che lo vizia,  nello sport dove è l’acclamato capitano della squadra locale di basket. Ha un carattere arrogante e strafottente, non ha rispetto per nessuno,si lascia coinvolgere in risse, sfascia auto. E quando investe una ragazza in scooter non le presta neanche soccorso, anzi la deride. Poi un giorno il suo mondo crolla: durante una partita cade a terra svenuto. Dagli accertamenti che gli vengono fatti in ospedale emerge che è affetto da distrofia muscolare, e che quindi è destinato a perdere l’uso delle gambe. Senza il basket e con quella prospettiva si rinchiude in se stesso, senza avere la forza di reagire. Nel frattempo la ragazza investita ha sporto denuncia, e Dario viene convocato al processo. Per evitare la prigione deve accettare suo malgrado di prestare servizio per tre mesi in una struttura salesiana per disabili, dove gli propongono di fare l’allenatore della squadra d basket in carrozzina dei ragazzini. All’inizio rifiuta qualsiasi coinvolgimento, fino a quando non incontra Isabella (Maria Grazia Centorami), una ragazza che gli fa girare la testa e che vorrebbe conquistare. Ma le mette subito le cose in chiaro: non vuole avere nulla a che fare con una persona insensibile e menefreghista come lui. Allora Dario comincia a dimostrarsi disponibile verso tutto quello che c’è da fare nella struttura, primo fra tutti il suo ruolo di allenatore. E pian piano i suoi sentimenti cambiano, si interessa delle emozioni egli altri, si affeziona a uno dei ragazzini che vive nella struttura perché è orfano, tanto da sognare di farlo prendere in affido dai suoi genitori.  E si innamora profondamente di Isabella, a cui però non ha il coraggio di confessare la sua malattia. In tutta questa crescita, costante è il suo rapporto con Gesù: dapprima provocatorio, lo sfida, lo maledice, poi comincia invocare il suo aiuto e a ringraziarlo. 
La storia forse un po’ scontata e condotta con l’andamento di una fiction, è stata girata nelle Marche, e il terremoto ha rallentato le riprese. I temi di fondo sono sicuramente belli e imporntati: il valore del volontariato cattolico, la superficialità di alcuni modelli di vita, la malattia come risorsa, il bisogno di essere amati. E in alcuni momenti dell’happy ending ci strappano un filo di commozione.  Ma  il tutto risulta troppo prevedibile, i ruoli a tutto tondo, senza sfumature, la “conversione” repentina, e la vicenda resta in superficie, calzata dai volti belli degli attori, con la sensazione che in fondo sia facile diventare buoni.