L'ACCORDO FRA WIM WENDERS E IL VATICANO

Non un film sul Papa, ma con Papa Francesco. Wim Wenders si è lasciato sfuggire questa rivelazione, ieri a Cannes, parlando del suo lavoro dedicato al Pontefice che uscirà nel 2018, con il titolo Pope Francis: A Man of his Word, sul quale vige comunque il massimo riserbo.

Che cosa significa che non sarà un film sul Papa, bensì con il Papa? Difficile pensare che Bergoglio si sia prestato a recitare, sia pure per qualche breve ripresa. Più probabile che abbia permesso al regista tedesco di filmarlo, in alcune occasioni, con il risultato che sarà lui stesso il protagonista. Anche se non dovrebbe trattarsi di un semplice documentario.

Quello che si sa è e che le prime riprese sono state realizzate all'apertura del Giubileo straordinario della Misericordia e che avrà un taglio inatteso: Papa Francesco ne sarà il protagonista rispondendo alle molte domande che quotidianamente gli giungono da ogni parte del mondo...

«Papa Francesco parla da solo e non c'è nessun bisogno di un documentario su di lui. Per questo, dopo lunga riflessione e molti incontri con l'amico Dario Viganò, abbiamo scelto un'altra strada sulla quale per ora lasciatemi dire poco o nulla», ha detto l'autore di Il cielo sopra Berlino.. 

«Papa Francesco è l'esempio vivente di un uomo che si batte per ciò che dice», ha detto Wenders. «Nel nostro film, egli si rivolge direttamente allo spettatore, in modo sincero e spontaneo. Volevamo che Pope Francis - A Man of his Word fosse un film per ogni tipo di pubblico, poiché il messaggio del Papa è universale. Grazie alla piena collaborazione del Vaticano, abbiamo avuto il privilegio di accedere a molte udienze con Papa Francesco e Focus Features si unisce ora a noi nel portare la sua straordinaria compassione e il suo profondo umanesimo al pubblico di tutto il mondo».


MONSIGNOR VIGANO' INVOCA UN SANTO PATRONO PER IL CINEMA

Wim Wenders fa riferimento a monsignor Dario Viganò, prefetto per la segreteria delle Comunicazioni, il primo "inviato" del Vaticano nella storia del festival di Cannes, che ha portato un messaggio cristiano agli artisti e al mondo del cinema.

«Con Wenders ci conosciamo dal 2003», ha spiegato Viganò, «quando gli consegnai a Venezia il Premio Bresson, ma la nostra amicizia è diventata frequentazione costante dal 2015 quando abbiamo cominciato a discutere di questa idea. Non dico di più, ma voglio sottolineare che il suo cinema ha le caratteristiche che io apprezzo davvero, ovvero è capace di stimolare un pensiero profondo partendo dall'umanità delle persone. A volte mi dico che il cinema, come tutte le arti, ha bisogno di un Santo Patrono. Ho pensato allora agli angeli che sono movimento e luce, proprio come il cinema, e che portano all'orecchio di Dio i sogni, le paure, le sconfitte, le preghiere degli uomini. E se penso a questi angeli non guardo a quelli di troppa tradizione devozionale, ma agli angeli della Bibbia, a quelli di Dante o di Rilke, insomma ai personaggi del Cielo sopra Berlino».

«Rispondo che non ne sono in alcun modo responsabile», ha replicato Wenders, «perchè quando scrissi quel copione volevo creare personaggi oltraggiosamente fittizi, veri e propri caratteri. Il fatto è che, durante la lavorazione, qualcosa di diverso e più profondo è effettivamente successo. Auguro ad ogni individuo e a ogni artista di provare la stessa sensazione, che nel mio caso non veniva da me ma è venuta a me. Ogni artista non deve preoccuparsi del significato della sua opera; se ci pensa troppo, quel significato si perde. È invece importante che ciascuno spettatore lo trovi dentro di sè e lo faccia proprio».

«Il bello del suo cinema», ha chiosato Viganò, «specie nei più recenti documentari, è che dà un'anima a ciò che racconta. E questo - a mio modo di vedere - è la chiave di una moderna religiosità dell'arte. Penso al film di Ken Loach che ha vinto qui la Palma d'oro, penso a tante storie che colgono l'essenza dell'uomo, piuttosto che a troppe raffigurazioni bibliche o evangeliche che, ad esempio con la purezza di Pasolini, non hanno nulla a che fare».