La tradizione della Chiesa di Roma è unanime nel fissare al 10 agosto il martirio di Lorenzo, che in città presiedeva il collegio dei sette diaconi. La fonte più antica che ne parla è la Depositio Martyrum, una sorta di calendario redatto nel 354, che indica per ciascun martire il giorno e il luogo della morte. Tra i testimoni antichi che ricordano Lorenzo ci sono sant’Ambrogio e Prudenzio; il primo si sofferma principalmente sul dialogo svoltosi tra Sisto II e il martire mentre il pontefice viene condotto sul luogo dell’esecuzione e chiede al suo diacono, che vorrebbe unirsi al suo martirio, di pazientare ancora tre giorni e di distribuire ai poveri i beni della Chiesa. Prudenzio privilegia invece l’aspetto popolare e costruisce un tessuto narrativo drammatico, in cui hanno grande spazio i dialoghi tra il santo e il suo accusatore, il prefetto Cornelio Secolare. Quando quest’ultimo ordina a Lorenzo di consegnargli le ricchezze della Chiesa, il diacono chiede una proroga di tre giorni per poterle raccogliere; alla data stabilita, dopo essersi affrettato a distribuire tutti i beni tra i poveri, presenta al prefetto il vero tesoro della Chiesa: una folla di malati, di mendicanti, di ciechi e di storpi. Il giudice, infuriato, ordina che Lorenzo sia sottoposto a una morte lenta; ma nemmeno il supplizio della graticola riesce a piegare la fede del santo, al punto che questo riesce a beffare il suo carnefice con la nota battuta: «Da questa parte è cotto; gira e mangia!» Nonostante l’aspetto leggendario di questa narrazione, da essa emerge un dato storico incontrovertibile: l’identità del martire, un diacono di nome Lorenzo, condannato a morte sotto Valeriano nel 258: notizia che troviamo anche in una lettera di Cipriano, vescovo di Cartagine, che pochi mesi dopo morirà a sua volta martire. La grande devozione del popolo romano per Lorenzo è testimoniata dalla grande quantità di luoghi di culto che gli vennero dedicati fin dai primi secoli.

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