Quante volte ci troviamo a rimuginare sul passato o a proiettare nella mente scenari futuri, a volte catastrofici?
Ci preoccupiamo per ciò che dovremo affrontare, viviamo in ansia, spesso in ansia da prestazione rispetto a ciò che siamo chiamati a vivere. Soffriamo più per l’immaginazione che per la realtà, temendo tutto ciò che di negativo potrebbe accaderci, forse anche perché bombardati dai telegiornali, dalle cattive notizie, dalle esperienze dolorose. In questo modo rischiamo di essere inquinati da una sottile sfiducia verso il futuro e verso la vita stessa.
In momenti così, una frase del Vangelo mi è stata particolarmente d’aiuto.
Gesù ci domanda con amore e lucidità:
«Chi di voi, per quanto si affanni, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? Se dunque non potete fare nemmeno ciò che è minimo, perché vi affannate per il resto?»
(Lc 12,25-26)
San Giovanni Bosco, con la sua sapienza concreta, diceva:
«Occupati sì, preoccupati no».
La preoccupazione e l’ansia, in fondo, sono come una sedia a dondolo: ti mettono in movimento, ma resti fermo. Non ti fanno avanzare nella vita.
Gesù ci invita a un altro sguardo, più libero, più fiducioso:
«Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro».
(Mt 6,28-29)
È l’invito all’abbandono alla Provvidenza, che non è solo materiale, ma anzitutto spirituale: fidarsi di Dio. Fidarsi del Suo amore concreto, della Sua cura. Non si tratta di rinunciare alla responsabilità, al contrario: siamo chiamati a fare la nostra parte, con impegno e serietà.
Ma, una volta fatto il possibile, possiamo fermarci, respirare, rivolgere a Dio una semplice preghiera del cuore. E lasciarci portare dal vento del Suo Spirito.
Lui saprà gonfiare la vela della nostra vita.
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