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Gli Arctic 30 stanno tornando a casa. Tutti i 26 cittadini non russi hanno un visto di uscita. L'attivista svedese Dima Litvinov è stato il primo a lasciare la Russia, passando in treno il confine con la Finlandia il 26 dicembre. Gran parte dei suoi compagni sono partiti da San Pietroburgo e gli altri lo fanno nel fine settimana. L'italiano Cristian D'Alessandro è già giunto a casa. I ventotto attivisti e due giornalisti freelance erano stati incarcerati dopo una protesta pacifica contro una piattaforma petrolifera artica gestita da Gazprom, avvenuta il 18 settembre. Il giorno dopo, il 19, la nave di Greenpeace International “Arctic Sunrise” era stata abbordata in acque internazionali da agenti di sicurezza russi, per venire poi rimorchiata a Murmansk dove i trenta sono stati poi arrestati.
Phil Ball, inglese, ha così descritto la vicenda: «Stiamo celebrando, ma voglio dire che questo non sarebbe mai dovuto accadere. Cento giorni fa siamo stati sequestrati in acque internazionali da un commando armato. Abbiamo affrontato accuse ridicole, la pirateria prima, poi il teppismo, e abbiamo trascorso due mesi in prigione per un crimine che non abbiamo commesso. Noi eravamo colpevoli di nulla di più che avere una coscienza. Abbiamo navigato verso Nord solo per protestare pacificamente contro una nuova industria spericolata, perché a volte una presa di posizione è l'unica cosa che puoi fare. Questo è ciò che penso a proposito delle perforazioni petrolifere nell'Artico, e anche se ora sono libero non abbiamo ancora vinto la campagna per salvare l'Artico. Siamo più vicini, ma c'è ancora una lunga strada da percorrere».
Prima di riunirsi con la propria famiglia, anche Cristian D'Alessandro ha fatto un commento: «Ci siamo, ce l'abbiamo fatta. È stato un onore per me vivere tutto quello che abbiamo passato insieme al capitano (Peter Willcox, ndr) che era a bordo della prima “Rainbow Warrior” quando fu bombardata e affondata dai servizi segreti francesi nel 1985. Un piacere passare attraverso queste difficoltà con alcuni dei membri dell'equipaggio del mio primo viaggio sull'“Arctic Sunrise”, e con i nuovi marinai che ho incontrato. È un piacere aver incontrato personalmente alcuni dei quasi 140 appartenenti alla squadra di appoggio, che ha lavorato intensamente per renderci la vita più facile. E sarò per sempre grato ai milioni di persone in tutto il mondo che ci hanno sostenuto negli ultimi tre mesi. È strano pensare che in qualche modo è stata una grande esperienza: di sicuro ha cambiato le nostre vite. Alla Gazprom, alla Shell e a tutte le compagnie che intendono perforare l'Artico in cerca di petrolio possiamo dire che la campagna di Greenpeace non si ferma qui, e non si fermerà fino a quando questo ecosistema così fragile, e così importante per il clima terrestre, non sarà protetto».
Per Raffaella Ruggiero, la madre, si ricomincia a respirare visto che in due mesi è riuscita a sentire il figlio al telefono solo due volte: “Nella prima, dopo 20 giorni, Cristian ha parlato con mio marito ma non sono riusciti a dirsi nulla. Solo un lungo pianto collettivo, anche perché la telefonata non era prevista. Nell’altra ha parlato con me premettendo: “Mamma, non piangere, sennò non riusciamo a dirci nulla”. Era preoccupato per noi, per il nostro dolore, per l’angoscia della nonna ottantottenne che teme di non rivedere. Ma sapevo che stava bene, che leggeva molto. e che «Greenpeace si è attivata per lui e gli altri attivisti fin dal primo giorno», ha detto la madre di Cristian, Raffaella Ruggiero. «Anche per le cose di prima necessità, come cibo, vestiti e tutto quello che poteva essergli necessario. Devo ringraziarli».
La famiglia di Cristian è una famiglia unita che ha reagito con grande forza e dignità a questa prova. Nessuna intervista concessa a casa a settimanali scandalistici o salotti della cosiddetta “tv del dolore”. Sia il padre Aristide che la madre hanno continuato a lavorare, con il sorriso spento, ma determinati. Concedendosi alle telecamere solo quando ritenevano che servisse a perorare la causa della liberazione del figlio. «Quello che abbiamo sempre saputo, fin dal momento dell'arresto del gruppo di attivisti», sottolinea Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia, «è che hanno subìto accuse del tutto infondate, per reati che avrebbero potuto costare loro anni di carcere. Siamo felici che tutti gli “Arctic30” siano tornati a casa dalle proprie famiglie. La nostra battaglia continua».



