Quando, nel gennaio del 2012, misero online uno dei loro primi
comunicati, gli analisiti dei servizi segreti occidentali e dei Governi fortti mediorientali pensavano che si trattasse di uno dei tanti gruppi salafiti
che stavano emergendo con forza all'interno della caotica coalizione
dei ribelli. Pericoloso sì, anche perché si professava jihadista. Ma
tutto sommato marginale, in quanto alle sue dimensioni, rispetto alla
maggiore fazione dei ribelli: il Libero esercito siriano. Jabhat al-Nusra li-Ahl al-Sham, la formazione estremista che la
comunità internazionale guarda con crescente preoccupazione, è invece
divenuta in poco più di due annio e mezzo il movimento più organizzato e
disciplinato all'interno dell'opposizione armata al leader siriano Assad.
Mese dopo mese al Nusra, ha fatto sentire la sua voce. Prima con la
sua ideologia estremista, così simile a quella di al Qaeda. Poi
ricorrendo all'"arma principe" del network del defunto Osama Bin Laden:
gli attentati kamikaze. Al Nusra ne ha portati a termine almeno 60, di
cui alcuni particolarmente sanguinosi. Molti ricordano i primi, quelli
di Damasco e Aleppo tra gennaio e febbraio 2012, contro installazioni
militari del regime che però costarono la vita a molti civili. Infine,
quando è riuscita a dotarsi di armi più efficienti
degli altri ribelli, di migliaia di combattenti e di parte del sostegno
popolare, al Nusra è uscita allo scoperto proponendosi come forza
antagonista al Libero esercito siriano (Fse) , il gruppo di ribelli ,
composto soprattutto da disertori dell'esercito di Assad, che la
Comunità occidentale sostiene e vorrebbe veder prevalere.
Già a fine 2012 gli Stati Uniti avevano inserito al Nusra nella lista
delle organizzazioni terroristiche. D'altronde i suoi legami con al Qaeda in Irak erano già noti, per quanto la sua
struttura clandestina fosse impenetrabile. Il 9 aprile 2013 la svolta:
Abu Bakr al-Baghdadi, il leader del ramo iracheno di al Qaeda confermava con un annuncio su
Internet la fusione di Nusra con al Qaeda in Irak. "Nusra è
un'estensione dello Stato islamico dell'Irak", aveva dichiarato.
Un'unità dell'Isis, l'esercito che si batte per la nascita di uno Stato islamico a cavallo dell'Irak e della Siria (noto anche con la sigla Isil, esercito per lo Stato islamico dell'Irak e del Levante). Foto Reuters.
Si cominciò così a parlare sempre più dell'Isis, ovvero dell'organizzazione
che intende creare uno Stato islamico a cavallo dell'Irak e della
Siria. E del suo capo. Scoprendo che di lui, in realtà si sa ben poco.
Esistono due foto, la prima in bianco e nero, quando lo "sceicco
invisibile", con barba nera, era detenuto dagli americani che avevano
occupato in Irak; la seconda, a colori, e comnque sbiadita, più recente.
Per il resto le informazione sono poche e sfumate. Si dice che Abu Bakr al-Baghdadi,
un nome di battaglia, sarebbe nato nel 1971 a Samarra, a sud di
Tikrit, nel cuore dell'Irak sunnita di Saddam Hussein. Si racconta che
abbia un dottorato in Storia e dottrina islamica. Si sa per cento
che è stato detenuto a lungo dagli americani a Camp Bucca. Nel 2009, a
«pacificazione» conclusa, al termine delle operazioni guidate dal
generale David Petraeus, è liberato. Giusto in tempo per prendere le
redini degli islmaisti in Irak.
E' così prudente, racconta un
ufficiale degli 007 iracheni al giornale «Al Monitor», «che nessuno,
persino fra i suoi stretti collaboratori, l’ha mai incontrato a volto
scoperto». Non gira filmati, come Osama bin Laden, cosa che
aumenterebbe la possibilità di essere individuato o tradito da
qualche suo combattente che potrebbe sacrificare l’obbedienza in cambio
dei 10 milioni di dollari della taglia che pende sulla sua testa.
Insomma, fa di tutto per ridurre il
rischio di far la fine del suo predecessore, Abu Musab al Zarqawi,
eliminato da un raid aereo Usa. Opera una «ritirata strategica» per
riorganizzarsi. Cambia la
strategia di al Qaeda.
Brutale sharia sì, ma con pragmatismo. La ferocia c'è, come provano le esecuzioni di massa di soldati sunniti catturati e uccisi senza pietà a dispetto del Governo dell'odiato Nouri Al Maliki, sciita. E' però una ferocia che in qualche modo s'intreccia alla diplomazia. Fa
ad esempio accordi con le tribù locali: appoggi economici e libertà di transito in cambio di un occhio di riguardo nelle operazioni belliche. Tutto ciò, in ogni caso, porta alla
rottura con il leader storico di Al Qaeda, Ayman Al Zawahiri, che lo
scomunica. Poco importa, commenta Giordano Stabile su La Stampa, qualche giorno fa: «Al Zawahiri è in una grotta, fra Afghanistan e
Pakistan. Conta sempre meno. Lui è più virulento e più
anti-americano, e gli strappa adepti persino in Yemen».