Don Renato Mazzuia.
di Mariano Montagnin
In questi giorni al Lido di Venezia c’è un tiepido sole. Annuncia la primavera. Tira un po’ di vento, magari portasse, attraverso il mare, dal lontano Venezuela, notizie di Alberto Trentini. Invece da mesi, dal 15 novembre, non si sa nulla del cooperante veneziano della Ong francese Humanity & Inclusion. L’unica informazione certa è che sia vivo e trattenuto in una prigione dei servizi segreti del Venezuela: arrestato il 15 novembre, dopo essere arrivato in Venezuela in ottobre.
Il Lido, una stretta lingua di terra che divide la laguna dal mare, spiaggia meravigliosa, sei parrocchie: Santa Maria Elisabetta, San Nicolò, Sant’Antonio, Sant’Ignazio, S.M. Assunta di Malamocco e S.M.della Salute di Alberoni, 15mila abitanti, è da più di un mese in apprensione per questo cooperante 45enne. Un uomo che cercava di portare sollievo a persone disabili in una terra complicata, a Guasdualito, al confine tra Venezuela e Colombia.
«Preghiamo, certo. Utilizziamo tutti i momenti liturgici. La preghiera dei fedeli domenicale ha sempre uno spazio per lui», racconta don Renato Mazzuia, parroco a Sant’Antonio di Padova al Lido di Venezia». Quattromila anime che si uniscono in preghiera con le altre chiese del Lido. Nella vicina chiesa di Santa Maria Elisabetta, di fronte all’imbarcadero dei vaporetti che arrivano da Venezia, c’è lo striscione che chiede libertà per Alberto. «I genitori abitano di fronte alla chiesa. Il sagrato, la piazzetta sono i luoghi della sua infanzia. Mamma Armanda e papà Ezio li abbiamo sempre visti alle funzioni religiose. C’è il gruppo di amici di Alberto che organizza la mobilitazione. La fiaccolata per la sua liberazione si è svolta qui, davanti alla chiesa. Adesso stanno raccogliendo le firme e la nostra Quaresima è iniziata con quello che hanno definito "digiuno a staffetta"».
Don Renato è preoccupato per i genitori, ultraottantenni, che hanno quest’unico figlio e oggi devono gestire tutte queste relazioni: il governo, la Ong, la pressione mediatica. «Terminata l’Eucaristia, c’è sempre qualcuno che si ferma a parlare con loro, facciamo il possibile per sostenerli». Sono coinvolti i gruppi di giovani adulti, i bambini del catechismo, gli animatori. «Ci uniamo volentieri», ha detto il patriarca, monsignor Francesco Moraglia, «a questa maratona di digiuno: è un segno antropologico che dice il valore della vita, che va al di là e oltre il nutrimento. Gesù che digiuna nel deserto è Gesù che dona la sua vita per gli altri. Alberto, speriamo di poterti abbracciare presto insieme ai tuoi familiari».
La Ong Humanity & Inclusion, che in Venezuela conta 15 cooperanti, ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 1997. Trentini è un uomo preparato ed esperto. Dopo la laurea in Storia alla Ca’ Foscari ha conseguito un master in Scienza e ingegneria dell’acqua, igiene e sanità all’Università di Leeds (Regno Unito) e un diploma professionale in assistenza umanitaria a Liverpool. Ha lavorato in America Latina, in Etiopia, Nepal, Grecia, Colombia, Libano.
Le elezioni in Venezuela, che hanno confermato Nicolás Maduro, sono state contestate da molti Governi, anche dall’Italia. Dalla Presidenza del Consiglio e dal Ministero degli Esteri arriva la conferma che si sta facendo ogni sforzo per il rientro di Alberto, ma finora l’Italia non ha ottenuto nulla. L’agenzia di stampa Sir riferisce di un volo CPI003, sembra usato dai servizi segreti italiani, atterrato a Caracas il 30 gennaio scorso, è rientrato senza alcun risultato concreto.
Trentini dovrebbe trovarsi nel municipio di Guasdualito, nello Stato di Apure, al confine con la Colombia, vicino a una zona pericolosa, Arauca. Le relazioni tra Venezuela e Colombia, tra il presidente Maduro e il presidente Petro, hanno alti e bassi. La Colombia è riuscita a ottenere la liberazione di due cittadini colombiani, ma in tutto sono ancora 21 i cittadini colombiani accusati di terrorismo e di essere mercenari, in situazioni di detenzione analoghe al caso di Trentini.
Carlos de la Torre, rappresentante in Colombia per l’Alto Commissariato Onu per i diritti umani, e il presidente colombiano Gustavo Petro, in riferimento ai colombiani arrestati in Venezuela, parlano di “sparizioni forzate”. Di questi casi si occupa Gabriella Citroni, presidente del Gruppo di Lavoro sulle sparizioni forzate delle Nazioni Unite. Gli Stati Uniti hanno rapporti complicati con il Venezuela, ma con l’inviato Richard Grenell hanno ottenuto la liberazione di sei statunitensi definiti "mercenari".
In Venezuela ci sono gravi scontri nel Catatumbo, più di 80 morti e 45mila sfollati, nel nord-est della Colombia. Una lettera del generale della Compagnia di Gesù, padre Arturo Sosa, venezuelano, chiede la liberazione di Carlos Correa, difensore dei diritti umani, presidente dell’ong Espacio publico. Una fonte confidenziale afferma che in Venezuela «per difendere la sovranità nazionale, qualsiasi persona con cittadinanza straniera, sia un turista, un imprenditore o un operatore umanitario, se diffonde sulle reti sociali, come Facebook o Whatsapp, messaggi contro il Governo, viene considerato "sospechoso", degno di sospetto». Tique Chaves, un altro cooperante, arrestato sempre a Guasdualito, è stato definito da Diosdado Cabello, uomo forte del governo venezuelano, complice di «una grande cospirazione contro il Venezuela». In questo contesto solidarietà, diplomazia, preghiera sembrano le armi migliori, frenando il cuore in ansia per chi è vittima di costrizioni, privazioni e sofferenze. Resta forte ed alto il grido della madre: «Alberto bisogna portarlo a casa».
Per partecipare alla staffetta del digiuno è sufficiente compilare il modulo sul sito bit.ly/digiuno-alberto-trentini. Per chiedere la liberazione del cooperante anche con l’iniziativa "Alberto Wall of Hope", lanciata sul sito miro.com. Procede anche la petizione sul sito Change.org, che ha superato le 77 mila firme.