American Sniper, il film basato sull'autobiografia del militare Chris Kyle (nel film interpretato da Bradley Cooper), il cecchino più letale dei Navy Seals, in missione per quattro volte in Iraq e soprannominato dai nemici "il diavolo di Ramadi" per la sua precisione mortale, è di nuovo al centro dell'attenzione. Ma questa volta per questioni "giudiziarie".
Nel 2013, Kyle e il suo amico e commilitone Chad vennero uccisi da Eddie Ray Routh, anche lui un soldato, affetto dalla sindrome da stress post-traumatico. O, almeno, questa è la motivazione su cui punta la difesa di Routh, che comparirà in giudizio l'11 febbraio prossimo.
Ed ecco il problema. L'11 febbraio, proprio 10 giorni prima della cerimonia degli Oscar che vede candidata la pellicola di Clint Eastwood come miglior film e Bradley Cooper come miglior attore protagonista: questa sovrapposizione di eventi ha portato l'avvocato St. John a dichiarare che il battage pubblicitario del film, le continue interviste rilasciate dalla vedova Taya Kyle (nel film Sienna Miller) e il modo in cui la pellicola dipinge il protagonista, cioè come un eroe che con la sua massima precisione salva innumerevoli vite sul campo, ancor più in un periodo di crisi in politica estera come questo, contribuiscano a creare un clima ostile nei confronti del suo assistito a influenzare in qualche modo il processo a suo carico.
Anche perché nel film, benché non si facciano nomi e non si parli della morte del protagonista, si accenna al fatto che lo stesso Kyle avesse cercato di aiutare quello che poi sarebbe diventato il suo assassino: e questo non può che influenzare la giuria, sempre a giudizio dell'avvocato.