Lo sapevamo, ma ora è ufficiale: gli italiani hanno smesso di credere nella politica così com’è.

Il Censis, l’istituto fondato da Giuseppe De Rita che mette insieme numeri e suggestioni, lo mette nero su bianco nella sua 59ª fotografia annuale: un’Italia «selvaggia», che arranca tra salari fermi, inflazione di ritorno e una crescente insofferenza per i riti stanchi della democrazia. E in questo vuoto di fiducia si inserisce un dato che non può lasciare indifferenti: quasi un terzo degli italiani ritiene che le autocrazie siano più adatte ai tempi che corrono. Un brutto, brutissimo segnale: la solita, vagheggiata richiesta dell’uomo forte. Pensavamo di esserne immuni, dopo vent’anni di fascismo, e invece...

Non è solo una provocazione. È una tendenza globale, che qui assume contorni particolari. Putin piace al 12,8%, Orban al 12,4%, Erdogan all’11%, Xi Jinping addirittura al 13,9%. Trump, nel suo eterno ritorno sulla scena, raccoglie un 16,3% di simpatia. Ma poi c’è l’ombrello di Leone XIV: il pontefice raccoglie il consenso del 66,7% della popolazione, un unicum nel panorama istituzionale. In un Paese che non si fida più di nulla, il Papa resta l’ultimo punto fermo. Del resto persino il postcomunista D’Alema ha recentemente riconosciuto con la consueta lucidità che la Chiesa cattolica è l’unica agenzia culturale sopravvissuta in Italia e nel mondo. E se lo dice lui ...

L’Europa sul banco degli imputati

Ma la sfiducia non riguarda solo Roma. Bruxelles è il bersaglio parallelo: il 62% degli italiani ritiene che l’Unione Europea non abbia un ruolo decisivo nelle grandi partite globali. Il 53% pensa addirittura che sia destinata a un ruolo marginale, in un mondo dove “vince” chi alza la voce o agita i muscoli. In questo clima, la partecipazione politica crolla. L’astensione alle politiche 2022 ha toccato un record: 36%. Nel 1979 eravamo al 14,3%. Nel frattempo il consumo di informazione politica si è eroso anno dopo anno.

Eccezione Palestina

C’è un’unica crepa in questo muro di disaffezione: le proteste per la Palestina. È l’unico ambito dove la piazza italiana ha dato segni di vita, in mezzo a un deserto di partecipazione civica.

Il grande malato: i conti pubblici

Poi c’è l’altro macigno: il debito pubblico. Era al 108,5% del Pil nel 2001, oggi è al 134,9%. La cifra assoluta è impressionante: 3.081 miliardi. Nonostante i recenti sforzi del ministro dell’Economia Giorgetti, che ha applicato una cura draconiana (o sarebbe meglio dire draghiana?) ai conti pubblici, rimaniamo i peggiori in Europa, eccezion fatta per Grecia e Ungheria. Certo, il G7 non se la passa bene — la media è salita dal 75% al 124% — ma il nostro caso resta particolare: un malato cronico che non riesce a guarire.

La rivoluzione demografica del lavoro

Sul lavoro, l’Italia vive un paradosso che altrove non si vede. Il boom dell’occupazione degli ultimi due anni (+833mila) è trainato quasi solo dagli over 50. Gli anziani salgono, i giovani spariscono: +704mila contro -109mila under 35. Un Paese che invecchia anche nella forza lavoro, mentre il Pil cresce appena dell’1,7% a fronte di un input lavorativo molto più alto.

Le imprese assumono i più maturi perché affidabili, i giovani invece scivolano nell’inattività: +176mila in un solo anno.

La sindrome del posto fisso

Checco Zalone l’aveva colta prima dei sociologi: la fame di posto fisso. Oggi il 46,4% degli italiani sogna il settore pubblico. Nel privato crede solo il 30,6%. La libera professione, un tempo simbolo di riscatto, oggi attrae l’11%. La stabilità è la parola d’ordine: niente licenziamenti, reddito garantito, orizzonte lungo. Lo testimonia un altro numero: restiamo nello stesso lavoro in media 11,7 anni, più della media europea.

Il gelo motivazionale

Ma questa stabilità non genera felicità. Solo il 38% dei lavoratori giudica sano il proprio ambiente professionale. Solo il 29,4% degli occupati privati si sente davvero motivato. E il calo di produttività è evidente: -2% per occupato, -3,5% per ora lavorata. Il paradosso italiano: robot in crescita (siamo sesti al mondo per installazioni) e motivazione in caduta libera.

Culle vuote, anziani arzilli

La demografia è la linea di faglia che corre sotto tutto il resto. Le culle non si riempiono: gli over 65 sono il 24,7% della popolazione. Poi una buona notizia: i centenari sono esplosi: 23.548. Nel 2045 gli anziani saranno 19 milioni, il 34%. Una montagna grigia che cambierà il mercato del lavoro, il welfare, perfino il nostro modo di pensare la famiglia e il futuro.

La cultura arretra, l’esperienza avanza

La spesa culturale cala (-34,6% in vent’anni): giornali -48%, libri -24%. Nel frattempo gli smartphone volano (+723%). Eppure cinema, concerti, musei tengono: la cultura non scompare, si trasforma. È esperienza, non più oggetto.

Roma capitale dei reati, ma il dato è in discesa

Roma resta la capitale dei reati: 271.800 nel 2024, davanti a Milano (226mila). Ma nei primi sei mesi del 2025 i reati sono scesi del 7% nella Capitale e dell’1% a Milano. I borseggi a Roma — 92 al giorno — restano una piaga, anche se in calo del 13,7%. Le violenze sessuali, invece, sono il dato più allarmante: +67% a Milano rispetto al 2019, +22% a Roma. Solo nel 2025 si vede (leggero) un rallentamento. Ma è troppo, troppo, troppo poco, perchè il numero da raggiungere nella violenza sessuale è zero.