La star è indubbiamente lui. Dior, un bel maiale di 14 mesi per 50 chili, dalle immacolate ispide setole, con sguardo mite sostiene placidamente la curiosità di umani e animali. Sul sagrato della chiesa di Sant’Eusebio all’Esquilino è in attesa di partecipare alla Messa che, una volta all’anno, vede partecipi gli animali a pieno titolo. Il loro patrono, Antonio del deserto, viene d’altra parte raffigurato proprio con un maialino che reca al collo una campanella. «Quando l’ho scoperto mi sono commossa», dice Paola Samaritani, mentre tiene al guinzaglio il suo maialino vietnamita. Vegetariana, l’ha salvato piccolissimo da un allevamento abusivo vicino Roma. Da allora vivono insieme: Dior ha la sua cuccia in casa e viene portato fuori per i bisogni, proprio come un cane. «È pulito e intelligentissimo. Non sporca, non ha odore. Sono animali speciali. Mi sta aiutando ad attraversare un momento difficile. Quando sono giù lo capisce subito, mi viene vicino, mi dà tanto affetto». Esattamente il contrario, insomma, di quello che si pensa dei maiali. «Già, sono i brutti pregiudizi, infondati, che poi ci fanno essere cattivi. Si vuole credere che sia così, capita anche con le persone».
Un momento della celebrazione
Un’antica tradizione
Nonostante questo 19 gennaio ci sia stato il blocco della circolazione, la parrocchia di piazza Vittorio si è affollata di persone e animali. Intitolata a un sacerdote romano martire del quarto secolo, Sant’Eusebio “ospita” il più celebre Antonio abate, perché la chiesa dedicata al protettore degli animali, che dista poche centinaia di metri, è stata inglobata nel Pontificio istituto orientale. «Così negli anni ’20 l’antica tradizione della benedizione degli animali si è trasferita qui», spiega il parroco, don Sandro Bonicalzi. Che cosa rappresenta? «È un segno di accoglienza verso creature che anche biblicamente vengono ricordate in tanti episodi della vita come collaboratori della vita dell’uomo: il corvo che dà da mangiare al profeta Elia, o gli animali che partecipano alla penitenza con gli abitanti di Ninive… La tradizione è legata ad Antonio, questo grande padre eremita, che ha dato vita al monachesimo nei primi secoli della vita cristiana».
Il senso di una benedizione
Secondo sant’Atanasio, biografo di Antonio, il maiale rappresenta le tentazioni a cui il santo fu sottoposto nel deserto. Eppure la tradizione ne ha fatto il segno di tutti gli animali da proteggere. La spiegazione è sul cartoncino-ricordo della benedizione dove, accanto alla preghiera e al brano di Genesi sulla creazione, a fine celebrazione i padroni degli animali pongono il nome del loro beniamino. Nell’antichità l’ordine degli Antoniani aveva ottenuto il permesso di allevare maiali all’interno dei centri abitati, poiché il grasso di questi animali veniva usato per ungere gli ammalati colpiti dal “fuoco di sant’Antonio”. I maiali erano nutriti a spese della comunità e circolavano liberamente nel paese con al collo una campanella. Da qui la tradizione di Antonio e il maiale, protettore degli animali. Per la celebrazione, ai primi banchi siedono Mariagiovanna e Laura. Ai loro piedi, tranquilli, la meticcia Marlene e lo shitzu Zarathustra, detto Chicco. «Li portiamo ogni anno, è bello poter entrare in chiesa anche con loro». Dalla navata laterale Fill, pastore tedesco in posa statuaria, osserva il gatto Gregorio in fila per la comunione in braccia alla padrona, Francesca. Ma non c’è chi esagera in questo affetto e quasi predilige gli animali agli altri esseri umani? «Benediciamo anche per aiutare le persone ad avere un rapporto giusto con queste presenze. Per Antonio non era l’esaltazione dell’animale, ma della creazione, di tutto ciò che Dio ci ha dato perché sia usato per scopi buoni», dice il parroco. Membro della fraternità san Carlo Borromeo, don Sandro è nato in campagna, vicino Milano: «Sono cresciuto a contatto con cavalli, buoi, animali di tutti i generi». E qui a sant’Eusebio «se tranquilli, gli animali sono bene accolti ogni domenica».
Animali in processione
I giorni speciali sono il 17 gennaio, festa del santo, e la domenica successiva, quando la celebrazione prevede la processione in piazza, banda e polizia a cavallo. Come è accaduto il 19 gennaio scorso, con cani, gatti, tartarughe, furetti, volatili in gabbietta, il maialino vietnamita e anche i peluche di qualche bambino. Per i più piccoli è stato un momento indimenticabile: “bau” di tante le razze, colori, taglie, uno spettacolo per gli occhi, e a tratti, per le orecchie. «Sempre meglio di una riunione di condominio», ha detto scherzando dall’altare padre Daniele Libanori, che ha presieduto la Messa. Vescovo del settore Roma centro, Libanori è un grande sponsor degli animali. A casa, racconta, ha lasciato Nino, un gattino di cinque mesi. «Nel centro di Roma abbiamo una quantità di persone che vivono da sole, l’animale è l’unica relazione reale e continuativa che hanno, non è da disprezzare. Ci deve far riflettere il fatto che molte volte gli animali sono l’unico referente affettivo. Se ci fosse maggiore capacità di costruire compagnia non sarebbe così esclusivo. Quindi la presenza di tanti animali domestici va ammirata, ma denuncia un fenomeno sociale che richiede attenzione». Proprio per questo motivo, «di fronte all’individualismo», conclude il parroco di Sant’Eusebio, «come comunità cerchiamo di essere uno spazio non solo liturgico ma anche affettivo, di vita».
Foto di Stefano Dal Pozzolo/Contrasto