Confidare
nella giustizia. Avere fiducia nella Corte Suprema, che potrà ribaltare la
sentenza ingiusta che ha condannato Asia Bibi. E' il mantra dell'avvocato
Sardar Mushtaq Gill, trentatreenne cristiano di Lahore, che ha seguito da vicino il
caso della contadina del Punjab, fino alla sentenza di appello. L'avvocato è
anche un noto difensore dei diritti umani e ha fondato l’Ong "Legal
Evangelical Association Development” (Lead) che si fa in quattro per aiutare i
cristiani in difficoltà, discriminati, poveri, perseguitati in Pakistan.
Soprattutto quelli - e sono la maggior parte - che non possono permettersi le
spese legali.
E’ vero che
il marito di Asia, Ashiq Masih, ha chiesto nei giorni scorsi un intervento al
presidente del Pakistan, implorando la grazia per sua moglie. Ma Gill ricorda a Famiglia
Cristiana che la strada è impervia in quanto “non esistono precedenti di
grazia concessa dal presidente per questo tipo di casi”. Esistono, invece,
sentenze ribaltate dalla Corte Suprema ed è quello in cui la difesa confida”,
ha rimarcato.
Secondo
quanto Gill riferisce, Asia, in carcere da oltre cinque anni, versa in uno
stato di prostrazione fisica e psicologica. A volte “attraversa comprensibili
momenti di disperazione”, anche se è sempre sorretta da una solida fede
“che l’accompagnerà fino all’ultimo respiro della sua vita”.
Quanti si
sono mobilitati per la sua difesa vengono intimiditi e minacciati. Secondo l’assunto
“chi difende un blasfemo diventa anche lui blasfemo”, sono stati uccisi il
ministro cattolico Shahbaz Bhatti e il governatore Salmaan Taseer, musulmano,
ma anche lo stesso avvocato Gill ha ricevuto minacce di morte. E' il destino
dei legali che scelgono coraggiosamente di difendere gli imputati di blasfemia,
come l’avvocato musulmano Rashid Rehman, freddato nel suo ufficio perché aveva
accettato di assistere un presunto dissacratore del Corano.
La blasfemia,
spiega Gill, “è la madre di tute le persecuzioni”. La legge nera continua a
mietere vittime in Pakistan e le minoranze religiose sono le più vulnerabili.
Secondo
i dati raccolti dalla rete di Ong pakistane “Awaz-e-Haq Itehad” (AHI), 1.438
persone sono state accusate di blasfemia tra il 1987 e l’ottobre 2014. Le
minoranze religiose – che costituiscono nel complesso meno del 4% della
popolazione pakistana – costituiscono il 50% degli accusati di blasfemia (501
ahmadi, 182 cristiani, 26 indù - 10 vittime di cui non è accertato il credo).
A partire dal
1990, 60 persone sono state uccise in via extragiudiziale in connessione
con le accuse di blasfemia: 32 erano di gruppi delle minoranze religiose e 28
musulmani. Tra le 60 vittime, 20 sono state uccise dai poliziotti o mentre
erano in custodia, 19 uccise in attacchi della folla.
Commentando i
dati, Gill spiega a Famiglia Cristiana: “Ogni episodio di presunta
blasfemia dà vita a una lunga serie di ingiustizie e violenze che, di fatto,
legalizzano l'ingiustizia. Il Pakistan non riesce a fermare questa violazione
sistematica dei diritti umani”. Un andazzo tanto più grave perché "le
vittime innocenti arrivano fino all’80% degli accusati: tutti casi basati su
accuse false, pretestuose e infondate".
Inoltre per
le vittime innocenti, prosegue Gill, “la detenzione prolungata, le spese
legali, la perdita di mezzi di sussistenza, lo sfollamento temporaneo e
permanente sono sofferenze che segnano per sempre”, ricorda l’avvocato. “Il
tutto si volge in un clima di generale impunità”.
L'avvocato conclude
“E’ urgente abrogare in Pakistan le leggi che sono abitualmente utilizzate per
perseguitare i cristiani e garantire giustizia e legalità”.