Dedurre, dal fatto che l’universo ha avuto un inizio e avrà una fine, che all’origine di tutto c’è un Dio creatore costituisce una doppia forzatura, scientifica ma anche teologica. Guido Tonelli, professore di Fisica all’Università di Pisa, uno dei padri della scoperta del bosone di Higgs, da scienziato non credente ma aperto al dialogo invita a non trarre conclusioni affrettate.
Per la scienza è un dato acquisito che l’universo non sia eterno ma abbia un inizio e una fine?
«Sì. La convinzione aristotelica che il cosmo fosse eterno e immutabile è stata dura a morire, ma le intuizioni di Lemaître e Hubble hanno ormai convinto tutti: 13,8 miliardi di anni fa si è prodotto l’universo che conosciamo. Grazie a strumenti di impressionante precisione, l’astrofisica ha accumulato tantissime prove».
Se lo spazio, il tempo e la materia si sono originati con il Big Bang, che cosa c’era “prima”?
«Possiamo esprimere così questa domanda: qual è il meccanismo che ha prodotto l’universo? Abbiamo scoperto che l’energia totale dell’universo è nulla, che il suo sistema fisico è indistinguibile dal vuoto. Il che ci induce a pensare che l’universo sia sorto per una trasformazione del vuoto, che sia una porzione di questo vuoto».
Si può affermare che questo vuoto da cui è scaturito l’universo è a-materiale, a-spaziale e a-temporale?
«Essenzialmente sì, perché spazio e tempo sono una sostanza materiale, come massa ed energia, non un concetto astratto».
Chiamare Dio questo vuoto originario è corretto?
«A mio avviso è una forzatura, sia scientifica sia teologica. Scientifica perché quel vuoto che abbiamo scoperto diventa lo strumento per ulteriori indagini, può essere sollecitato e dalle risposte che fornirà potremo sviluppare nuovi strumenti, premessa di ulteriori progressi. Inviterei chi tende a identificare questo “stato di vuoto pre-esistente” con Dio a essere cauto. Abbiamo sperimentato tante rivoluzioni scientifiche che ci hanno portato a cambiare radicalmente il nostro modo di comprendere i fenomeni. Ma è una forzatura anche sul piano teologico: da scienziato non credente, sostengo che la scienza moderna non elimina lo spazio della fede. Immaginare un’intelligenza soprannaturale che presiede a tutta questa meraviglia che via via si sta svelando è un’esigenza umana sulla quale la scienza non può dire nulla, perché il suo territorio si limita a tutto ciò che avviene “al di qua”, nel mondo naturale. In questo senso immaginare una presenza immanente nel mondo naturale è improprio anche dal punto di vista teologico».
Credere in un Dio creatore è secondo lei un’ipotesi razionale?
«Sì e no. Penso che non ci sia una persona su questa terra che crede in Dio su base puramente razionale, sarebbe riduttivo. Il punto decisivo è questo: affermare che la fede non è razionale ma scaturisce dall’anima, dalle emozioni, non equivale ad affermare che va contro la scienza. Non condivido l’atteggiamento di quegli scienziati che considerano i credenti prigionieri di idee antiche. Da parte mia, rispetto la scelta di chi si affida a un’entità sovrannaturale per chiedere giustizia, ordine, felicità. Se esiste il rispetto reciproco, credenti e non possono unire le forze per ridurre le sofferenze del mondo. La scienza, tanto più oggi che è dotata di un potere enorme, non può essere lasciata sola a decidere che cosa è bene e che cosa è male».
Ha mai provato la sensazione di trovarsi di fronte al mistero?
«Non in termini di mistero divino, ma di stupore fondato sulla consapevolezza che, immersi in un mondo vastissimo che va dalle particelle elementari fino alle grandi galassie, noi uomini siamo piccole entità trascurabili».