Renato Balduzzi, per molti anni presidente degli intellettuali cattolici italiani (Meic), costituzionalista, è stato ministro della salute nel governo Monti e ora è deputato di Scelta Civica. Il dibattito sull’ispirazione cristiana in politica lo ha sempre appassionato.
- Onorevole Balduzzi, i cattolici in politica sono subalterni e irrilevanti?
“Mi sembra una polemica tutto sommato sterile, da superare. Quello che è diventato irrilevante è un modo strumentale di intendere il proprio stare in politica da cattolici, una sorta di maglietta da indossare su alcuni temi o di bandiera da esibire nella dialettica politica. Invece è sempre più rilevante riuscire a introdurre domande di senso nella quotidianità politica, rafforzare l'attenzione ai più deboli e a una concezione integrale della persona umana, contro il riduzionismo dilagante. Non mi sono mai sentito subalterno, semmai mi sento chiamato a una testimonianza sempre più esigente e a una coerenza sempre maggiore tra ciò che penso, ciò che dico e ciò che pratico”.
- La responsabilità dell'irrilevanza è del bipolarismo o, per buona parte, della Chiesa che dopo la fine della Dc ha voluto gestire in proprio la presenza politica e ha messo da parte i laici?
“Come ho detto, non condivido il giudizio di irrilevanza. Ciò posto, penso che i nostri Pastori potrebbero sempre di più investire sui laici cristiani impegnati in politica, fidarsi di più di essi e della loro articolazione pluralistica. Non credo che un cattolico debba ostinatamente cercare e costruire le proprie identità contro altre. Né i richiamo all’etica pubblica vanno considerati o scambiati per moralismo di maniera. L’identità cattolica si può definire con il concetto di sentinella. E su questo piano colgo peraltro segnali incoraggianti, anche favoriti dal vento di indubbia novità che proviene da papa Francesco”.
- Davanti ai grandi numeri dell'astensionismo può essere una soluzione proporre un partito dei cattolici?
“Se non un partito dei cattolici, servirebbero almeno partiti e movimenti nei quali sia esplicita l'attenzione verso la sensibilità cattolica. Maritain verso la fine della sia vita ha denunciato il rischio di una "società decorativamente cristiana". Il problema dunque non è costruire una civiltà che si autodefinisca cristiana, ma costruire una società che renda possibile e favorisca, anche con una buona politica e con un corredo di regole, la vita spirituale. In questo modo si apre una prospettiva nuova, che superi tutte quelle forme e quelle formulo sulle quali in passato ci si è troppo divisi. Questo può essere favorito dalla creazione di momenti effettivi di produzione di cultura politica, la vera assente degli ultimi decenni di vita italiana e comunque poco presente anche nei decenni precedenti. Con alcuni colleghi parlamentari e con persone provenienti da professioni e storie diverse abbiamo creato a luglio l'Associazione Achille Ardigò, che avrà anche ramificazioni territoriali e che ambisce essere uno dei momenti di produzione di una cultura politica che stia dentro la ricca storia del personalismo di ispirazione cattolico-democratica, con un'esplicita apertura ad altre prospettive culturali, anche qui pienamente nel solco di quella tradizione”.
- Lei è stato ministro tecnico del governo Monti, cattolico, ma senza mettersi mai il distintivo alla giacca. Può essere un esempio di nuova sintesi della presenza dei cattolici in politica?
“Ho il massimo rispetto per quanti portano un distintivo. Mi ricordo la fierezza con cui il presidente Scalfaro portava quello originale dell'Azione cattolica, e altresì il legame che quel segno concorse a stabilire tra noi. Oggi però il distintivo, o, fuori di metafora, l'ostentazione della propria identità profonda rischiano di essere, in un tempo di frammentazione e di appartenenze corte, il surrogato di un'inadeguatezza, fors'anche di un tradimento o almeno di un appannamento. Nessuno, tra i colleghi di Governo, penso nutrisse dubbi sulla mia storia e sulle mie opzioni, e neanche sulle preferenze etico-culturali che stavano alla base di questa o quella presa di posizione. Si trattava di una testimonianza a partire dai comportamenti. A fondamento di tale stile di testimonianza c'era e c'è la distinzione, che considero decisiva, tra relativismo e pluralismo: il primo è la mera presa d'atto delle differenze dei punti di vista e delle visioni del mondo, mentre il secondo significa cercare la soluzione comune meno lontana da quei principi e valori plurali che sono alla base della convivenza civile. Credo che i cattolici in politica siano cruciali per far vincere l'approccio autenticamente pluralistico”.
- All'inizio dell'esperienza del governo Monti sembrava che l'interesse dei cattolici per la politica fosse maggiore e si riprendesse dopo una stagione di grande stanchezza. Oggi sembra accadere il contrario. Qual è la sua valutazione?
“Condivido la sua valutazione. Nei primi mesi da ministro avvertivo una fiducia e una speranza molto alte tra i cittadini, soprattutto giovani e anziani, con cui venivo a contatto, così alta da portarmi a pensare che sarebbe stata inevitabile una qualche dose di disillusione. E proprio così è successo. Scelta Civica ha potuto soltanto in parte far tesoro di quella fiducia e di quella speranza, troppo forte essendo la reazione di molti elettori verso la politica e i suoi esponenti, così da mettere sotto un solo cappello sia quanti correvano per la prima volta senza portare responsabilità per tante carenze e inadeguatezze dei decenni precedenti, sia le forze politiche che di quelle carenze e inadeguatezze non potevano non essere chiamate a rispondere. Una nuova stagione politica, volta a riconciliare cittadini e istituzioni, credo abbia bisogno di un supplemento di attenzione: da parte delle comunità ecclesiali, capaci di non lasciare soli quei suoi membri investite di cariche pubbliche; da parte di quanti rivestono tali cariche, chiamati a continuare a essere se stessi e a conservare la ricchezza delle dimensioni della vita e dei mondi vitali che la compongono, quella personale e familiare, quella associativa, quella politico-istituzionale”.