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mercoledì 06 novembre 2024
 
 

Battiato: «Svegliamo lo spirito che dorme»

04/01/2012  Intervista al cantautore siciliano che presenta la sua quarta opera lirica, ora in Dvd, nella quale utilizza una nuova tecnologia che simula la tridimensionalità: l'ologramma.

Una sequenza di note al pianoforte si ripete, rarefatta e ipnotica, per lunghi minuti. All'improvviso, la voce di un cantante si sovrappone alla melodia, senza tuttavia disperderne la dolcezza: La notte distende i miei nervi e l'ulivo sussurra animato dal suo stesso suono. Si chiude così il primo dei due atti di Telesio, quarta opera composta da Franco Battiato. L'atmosfera rimanda ai lavori sperimentali degli anni '70 che gli valsero perfino un premio Stockhausen per la musica contemporanea, ma quando si tratta di Battiato ogni tentativo di incasellare il suo lavoro si rivela sterile, tanto più con questo “Telesio”: c'è la lirica, la musica minimalista, il balletto e anche teatro di prosa.

L'opera è stata realizzata su commissione da parte del Teatro Rendano di Cosenza, città natale del filosofo rinascimentale Bernardino Telesio, dove è stata rappresentata lo scorso maggio. In attesa di rivederla in scena nei teatri italiani nel 2012, si può apprezzarla nella versione in Cd da poco pubblicata. Battiato, oltre a scriverne le musiche, ne ha curato la regia che prevede un allestimento molto particolare, con una tecnica mai realizzata in Italia. «La scrittura non mi ha impegnato molto», spiega l'artista siciliano, «mentre tutto il lavoro successivo è stato piuttosto complicato, soprattutto perché ho scelto come modalità di messa in scena l’ologramma, una tecnologia nuova e molto avanzata, che simula la tridimensionalità».

Il pubblico aveva cioè l’impressione di vedere davvero l'attore Giulio Brogi che interpreta Telesio, i cantanti e i ballerini e non delle loro proiezioni su pannelli?
«Assolutamente. Alla fine di ogni rappresentazione, c’era sempre chi si chiedeva chi erano gli attori “veri” e chi i “fantasmi”, ma il palcoscenico è sempre stato completamente vuoto».

- Perché ha scelto questa tecnica? Ha un significato drammaturgico particolare?
«No, è un’idea che mi è venuta, anche per una pura questione di comodità. Dal momento che dovevo curare pure la regia dell’opera, piuttosto che preoccuparmi di quali costumi scegliere, di come ricreare gli ambienti del tempo, ho pensato di affidarmi alla tecnologia».

Anche nei nuovi spettacoli che porterà in tour nel 2012 saranno in scena solo ologrammi?
«Sì, ma per divertirmi ancora di più potrei decidere di mischiare ologrammi e persone in carne e ossa. Se così sarà, comparirò qualche volta anch’io per il gusto di vedere se sarò riconosciuto».

Da un punto di vista musicale, invece, qual è l’elemento più innovativo di quest’opera rispetto alle altre che ha scritto in passato?
«Non mi interessa molto cercare l’innovazione. La mia fortuna è dovuta al fatto che anche quando scrivo canzoni dall’impianto molto tradizionale la critica le apprezza perché le trova “difficili” (ride, ndr)».

Prima di comporre quest’opera, conosceva bene la vita e il pensiero di Bernardino Telesio?
«Per nulla. A scuola avrò letto forse una mezza paginetta su un libro, di cui comunque non ricordavo più nulla. Ho dovuto documentarmi».

E cosa la affascina di più della sua filosofia?
«Ha una contemporaneità che non avrei immaginato. Per esempio, pensava che gli animali fossero esseri senzienti, in grado di provare sensazioni, un’idea rivoluzionaria nel Cinquecento. E poi riteneva che non ci fosse contrasto fra la dottrina cristiana e la conoscenza della natura attraverso l’esperienza, un’altra idea non da poco per i suoi tempi».

Nel libretto c’è una frase: “Se non si sveglia quel che chiamiamo Spirito che dorme, ben poco ci resta”. È di Telesio o di Manlio Sgalambro che lo ha scritto?
«È di Sgalambro, ma potrebbe essere benissimo di Telesio, perché ha passato tutta la sua vita a indagare sull’esistenza e sul significato della dimensione divina».

Il suo prossimo progetto è un film sulla vita del compositore Haendel. A che punto è? «Veramente sono tre anni che ci lavoro, ma mancano i finanziamenti. Se arriveranno lo completerò, altrimenti pazienza».

Telesio e poi Haendel. Perché ha tutto questo interesse verso personaggi del passato? «Ha visto cosa c’è intorno a noi? In mezzo a tutta questa mediocrità, è meglio imparare dai grandi geni che ci hanno preceduto».

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