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sabato 09 novembre 2024
 
 

Buon compleanno, Italia

15/03/2011  Il 17 marzo si celebrano i 150 anni dell'Unità del Paese. Che nacque sulle ceneri di 7 Stati e con 22 milioni di abitanti, per lo più contadini analfabeti. Nostra intervista a Ciampi.

Prima dell’unità, l’Italia è un’espressione geografica percorsa da forti sentimenti, ma politicamente e socialmente divisa: circa 22 milioni di abitanti sparsi in sette Stati, una lingua comune – l’italiano – usata solo per i documenti ufficiali, un tasso d’analfabetismo del 75 per cento, una povertà diffusa. Il nostro Paese ha un'economia che non riesce a competere con quella delle altre grandi nazioni euopee. L'Italia sconta la povertà di materie prime (ferro e carbon fossile) che rende debole, al momento dell'unificazione, il comparto siderurgico, settore che in altri Stati, invece, si sviluppa velocemente, diventando il simbolo del processo di industrializzazione. Da noi, nel marzo 1861,  esistono poche industrie: sono soprattutto tessili e stanno soprattutto al Nord. A far da regina è l'agricoltura, che assorbe ben oltre la metà della mano d'opera: ma nei campi dominano latifondo e  tecniche di coltivazione antiquate. Le infrastrutture non sono all'altezza delle ambizioni: l'Italia, ad esempio, ha una rete ferroviaria lunga circa 2.000 chilometri; poca cosa rispetto agli 11.000 chilometri di binari che può vantare la Germania o i 14.000 della Francia.

    Questo è il contesto sociale ed economico in cui, il 17 marzo 1861, nasce il nuovo Stato.
«Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue. Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e per i suoi successori il titolo di Re d'Italia. Ordiniamo che la presente, munita del sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino, addì 17 marzo 1861». L'atto di nascita della nuova realtà è la legge numero 4671,  promulgata - appunto - il 17 marzo 1861 e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale numero 68 l'indomani, il 18 marzo 1861. Cavour vuole che sia questo il primo provvedimento legislativo del nuovo Parlamento nazionale, composto da 211 senatori di nomina regia (ci sono fra gli altri Massimo d’Azeglio e Alessandro Manzoni) e da 443 deputati, per la prima volta anche del Mezzogiorno, della Sicilia, dell’Umbria e delle Marche, eletti il 27 gennaio. In tutte le principali città italiane 101 colpi di cannone annunciano solennemente la proclamazione del Regno d’Italia. Si festeggia per le strade, come già è successo il 14 marzo 1861, giorno del compleanno del re. A Roma però ci sono ancora i francesi e lo Stato pontificio, a Venezia gli austriaci.

    Nel rapidissimo riconoscimento del regno da parte della Gran Bretagna e della Svizzera il 30 marzo 1861, ad appena due settimane dalla sua proclamazione, seguito da quello degli Stati Uniti d'America il 13 aprile 1861, al di là delle simpatie per il governo liberale di Torino, c'è anche un disegno, anche se ancora incerto, sul vantaggio che potrebbe trarre l'Europa dalla presenza del nuova realtà. Si diffonde, infatti, la convinzione che l'Italia unita, non più terra di conquista o di confronto armato tra grandi potenze, costituisca un elemento di stabilità per l'intero continente.

    A 150 anni di distanza facciamo il punto sull'unificazione, sui problemi risolti e su quelli ancora aperti. Lo facciamo con un’attenzione particolare ai cattolici, tenuti a distanza quando non osteggiati al momento dell’unificazione, ma poi sempre più protagonisti incisivi nella vita del Paese.

Alberto Chiara

Era stato indicato come presidente del Comitato dei garanti per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Carlo Azeglio Ciampi aveva la statura istituzionale per ricoprire l’incarico e poi credeva fermamente, come spiega nell’intervista a Famiglia Cristiana, nella continuità tra Risorgimento, Resistenza e Costituzione. Lasciò l’incarico a Giuliano Amato con queste parole: «L’anagrafe impone il rispetto di certe regole».

   Non tutti hanno lo stile di Carlo Azeglio Ciampi. Ma negli anni seguiti alla sua permanenza al Quirinale, Ciampi non ha mai fatto mancare al Paese il suo racconto appassionato di un’Italia che ama e che vorrebbe migliore. La sua presidenza è stata caratterizzata dall’azione quotidiana di una sorta di pedagogia civile declinata in tanti viaggi e in molti discorsi, intrecciata attorno alla ricerca di una nuova cittadinanza per gli italiani. È stato sempre preoccupato di una cosa, soprattutto: non perdere la memoria, anzi rivisitarla per migliorare il tempo attuale. L’ultimo suo libro, un colloquio con Alberto Orioli, editorialista del Sole 24 Ore, ha un titolo velato di pessimismo Non è il Paese che sognavo e un sottotitolo: Taccuino laico per i 150 anni dell’Unità d’Italia (Il Saggiatore, euro 16).

   Qui afferma che non è proprio così. E cita tre personaggi da non dimenticare e su cui riflettere. Sono Alcide De Gasperi, Ferruccio Parri e Vittorio Foa. Tre, come i tre colori della bandiera. Rappresentano la continuità tra Risorgimento, Resistenza e Costituzione. Gli uomini migliori, insieme a molti altri, dell’Italia repubblicana, un Paese che ha sofferto, ma che seguendo il loro esempio non può e non deve lasciare che responsabilità e impegno possano venir meno nell’esercizio alto della politica. Alcide De Gasperi (1881-1954) non ha bisogno di parole. Ferruccio Parri (1890-1981) fu il primo premier a capo di un Governo di unità nazionale dopo la Liberazione. Di lui Enzo Biagi disse: «A Parri è sempre bastato avere la coscienza tranquilla». Vittorio Foa (1910-2008), di Giustizia e libertà, arrestato e condannato dal Tribunale speciale fascista, figlio di un rabbino, ha attraversato la cultura di sinistra in decenni di dibattiti diventati paradigma per la libertà. «È stata una delle figure di maggior integrità e spessore intellettuale e morale della politica e del sindacalismo italiano del Novecento», ha detto Giorgio Napolitano.

Presidente Ciampi, cos’è l’Italia?

«Posso rispondere dicendole che cosa è per me; e lo faccio prendendo a prestito le parole di Massimo D’Azeglio: “L’Italia è quella Patria che è fra noi vincolo ed amore comune”».

Non è il Paese che sognava, ha detto. Perché?
«Credo che il titolo del libro abbia suscitato più discussioni del suo stesso contenuto, che pure nel complesso mi pare ne chiarisca il significato. Qualche amico mi ha garbatamente rimproverato la scelta del titolo per un senso di pessimismo che non mi si attaglia. Non si tratta di pessimismo, e men che meno di sfiducia nel futuro. La scelta del titolo, semmai, voleva esprimere il rammarico di chi ha vissuto lo slancio prodigioso, la forza e la capacità di affrontare difficoltà e ostacoli che connotarono gli anni del dopoguerra e quelli del “miracolo economico”; di chi, in un tempo più vicino, ha “sentito” il sostegno della partecipazione convinta dell’intero Paese alla causa dell’euro e ora osserva una condizione di ripiegamento, di torpore spirituale, di sostanziale rassegnazione all’esistente».

Il Risorgimento festeggia 150 anni. Come lo racconterebbe oggi ai giovani?
«Darò la parola a Roberto Benigni, amico carissimo, che con la sua recente personalissima e appassionata “esegesi”dell’inno di Mameli ha commosso ed emozionato migliaia di italiani. Tra questi, mi risulta che numerosi siano stati i giovani. E i giovani, a cominciare proprio da Mameli e Novaro, sono stati al centro del racconto di Benigni. D’altra parte, Roberto conosce da vicino le ascendenze risorgimentali del mio sentimento nazionale, del mio senso di patria: temi che hanno fatto da sfondo a tanti nostri appassionati scambi sulla letteratura, l’arte e il paesaggio italiani, in breve sul nostro straordinario patrimonio culturale».

Ma secondo lei, c’è stato solo“un” Risorgimento, oppure è più corretto parlare di diversi “Risorgimenti”: il primo, poi la Resistenza e quindi la Costituzione, cioè la Carta dell’unità compiuta?
«Per formazione culturale oltre che per esperienza di vita non ho mai visto cesure tra Risorgimento, Resistenza e Costituzione repubblicana; un filo rosso si dipana lungo queste vicende della nostra storia nazionale, legandole strettamente l’una all’altra. “Riscatto” e “dignità” sono le parole-chiave per individuare il tracciato di questo percorso storico, non lineare e drammaticamente accidentato».

Come si è sentito, presidente, nell’osservaretutte le discussioni polemiche di questi ultimi mesi sull’anniversario: festa sì, festa no, festa di serie B?
«Tra i fattori che contribuiscono a rendere il nostro presente non precisamente esaltante c’è anche questa sciagurata propensione a ricercare – con un impegno degno di miglior causa – motivi per alzare barricate. Non vorrei sempre rifarmi al passato, ma ho preciso e vivo il ricordo di tante altre battaglie, di polemiche asperrime, e non voglio dire sempre tutte nobilmente ispirate, ma certamente meno inconsistenti e pretestuose di quelle che oggi quotidianamente ci affliggono. Resto convinto che tante energie potrebbero più utilmente essere convogliate su altri binari. Questa inversione di rotta farebbe un gran bene al Paese, e quindi, a tutti noi».

Lei pensa che ci siano italianiche non vogliono più l’Italia?
«Credo che gli italiani di oggi, nel profondo, vogliano l’Italia quanto l’hanno voluta i loro connazionali di ieri e dell’altro ieri. Naturalmente diverso è il modo di manifestare i sentimenti di fronte a qualcosa la cui esistenza diamo per scontata: in cima ai desideri di un ventenne difficilmente troveremmo l’aspirazione a una buona salute. Credo quindi che non debba sorprendere una certa tiepidezza».

Se dovesse dire chi riassume l’ideale dell’Unità, tre nomi come tre sono i colori della nostra bandiera, chi indicherebbe? E perché?
«Non so se mi attengo strettamente ai tre colori della bandiera. Con questo ristretto numero, la mia formazione, la mia storia, la mia esperienza mi suggeriscono: Alcide De Gasperi, Ferruccio Parri, Vittorio Foa. Libertà politica e giustizia sociale hanno costantemente ispirato e sostenuto, con le diversità frutto del “caso”, ma con identica “virtù”, le scelte ideali e l’agire concreto di questi uomini. Tutti e tre hanno creduto fermamente che libertà e uguaglianza non solo non sono antinomiche, ma alla lunga l’una presuppone l’altra. Per me questa è stata la grande lezione di Guido Calogero; e, con lui, quella di una generazione di uomini che ha operato e combattuto per una Italia più libera e giusta. E ha vinto».

Alberto Bobbio

In occasione della celebrazione del 150˚anniversario dell’Unità, il dibattito storico sulla “Questione risorgimentale” sta vivendo un momento di vivacità, a livello sia politico che mediatico.

   Da varie parti, infatti, e con diverse motivazioni vengono espresse sempre di più perplessità sul modo in cui fu raggiunta l’unificazione e sull’opportunità della forma di Stato accentrato adottata dall’élite politica piemontese del tempo.
Per questi “antiunitaristi” si trattò di un’operazione condotta affrettatamente, sotto l’incalzare degli eventi. La rivoluzione, nata come moto antiaustriaco, da moderata, quale in effetti la voleva Cavour, divenne radicale, quando Garibaldi e i democratici ne presero la direzione dopo il 1859.  Così l’unità della Penisola, raggiunta quasi forzatamente nel giro di pochi anni, con il passare del tempo si sarebbe rivelata inadatta, anzi addirittura dannosa per gli interessi generali della nazione, poiché, sostengono gli “antiunitaristi”, sarebbe stata portata a termine senza tenere contodelle diversità radicali esistenti tra le varie parti della Penisola, segnate per secoli da modelli sociali e di sviluppo economico diversissimi.

   Il Risorgimento, secondo gli storici “unitaristi” laici e cattolici, che sono in realtà la grande maggioranza, fu, invece, un processo che si è mosso secondo spinte non sempre univocamente indirizzate, e dove si sono confrontate posizioni culturali o scelte ideologiche differenti. Va ricordato che esso, almeno agli inizi, ebbe una vocazione pluralista, animata da prospettive differenti, anchese nutrite dal medesimo spirito. Nello stesso periodo vennero alla luce sia i progetti “federalisti”, messi a punto da Vincenzo Gioberti o da Massimo D’Azeglio e da Carlo Cattaneo, sia quelli rigorosamente “unitaristi”di Giuseppe Mazzini o di Giuseppe Garibaldi. Alla fine si realizzò, come è stato detto, un’unificazione artigianale piena di difetti, forse l’unica possibile.

    Il Risorgimento, inteso come movimento di idee, è nato e cresciuto all’interno del pensiero politico cattolico (neoguelfismo) e all’interno di questo ha ricevuto il suo primo programma di azione. Insomma, accanto a Mazzini e prima ancora di Cavour ci sono stati Antonio Rosmini e Vincenzo Gioberti, che pensarono al nuovo assetto politico e sociale della Penisola in termini “italiani”, e che videro nel confluire di culture e tradizioni locali diverse, amalgamate dallo stesso cemento della fede cattolica, le condizioni per la nascita di uno Stato confederale sottoposto alla medesima direzione politica ed economica. Gioberti fu uno dei primi a pensare la nazione italiana in termini unitari, con il Papa «presidente naturale e perpetuo» di questa «confederazione di principi e di popoli». Ciò, egli pensava, avrebbe restituito all’Italia il «primato morale e civile» che essa in passato aveva avuto sututte le nazioni e civiltà dell’Occidente cristiano. Le teorie giobertiane avevano, inoltre, il merito di pensare l’unificazione nazionale non soltanto in chiave politica e istituzionale – come poi in effetti la ridusse la strategia cavouriana – ma anche culturale e sociale, accordandola al particolarismo delle tradizioni regionali dei diversi Stati della Penisola e utilizzando come cemento unificatore della nuova identità nazionale il grande patrimonio culturale e di fede della tradizione cattolica italiana.

   Il moto risorgimentale, come si è detto, si mosse invece in altra direzione e divenne anzi, a partire dal 1860, palesemente anticlericale e a volte anche anticattolico, soprattutto quando repubblicani radicali e massoni ne presero la direzione. Il modello di unificazione che poi fu attuato non fu certo quello regionalista propugnato dai cattolici o da alcuni liberali moderati, che tendevano a valorizzare le realtà locali anche in termini di autogoverno, bensì quello accentrato, imposto dai piemontesi vincitori e ricalcato sul prototipo francese. Questo fatto creò una prima frattura tra il giovane Stato, appena unificato, e la nazione italiana, e ciò prima ancora che iniziasse lo scontro tra Stato e Chiesa e nascesse la “Questione romana”, alla quale i liberali imputarono tale dolorosa scissione.

   Si può dire, insomma, che nel tumultuoso e affrettato processo di unificazione lo Stato accentratore soffocò e annientò la nazione, portatrice di istanze sociali e culturali molto diverse tra loro. Soltanto successivamente, dopo aver combattuto due sanguinosissime guerre, l’Italia divenne, nella sostanza, una e indivisibile. Per questo siamo chiamati oggi a difendere, contro i progetti politici disgregatori o in qualche modo separatisti, ciò che a fatica gli italiani hanno costruito nel corso di un secolo di lotte politiche e infiniti dibattiti, e i cattolici sono chiamati a essere parte attiva di tale impegno culturale e civile.

Padre Giovanni Sale, gesuita, storico, Civiltà Cattolica

Ci siamo. Il display luminoso collocato nella centralissima piazza Carignano ha segnalato per mesi quanto mancava a quella che viene considerata la data di nascita del nostro Paese, il 17 marzo. Il suo compito, a metà tra quello di una vigile sentinella e quello di più moderno post-hit, è terminato. Dopo tante polemiche, è giunta l’ora delle celebrazioni. Prima capitale del regno d'Italia tra il 1861 e il 1865, Torino s’è tirata a lucido vestendo l’abito buono della festa, il che significa manifesti, stendardi e arredi urbani color blu Risorgimento. Piazza Vittorio, via Po, piazza Castello, via Roma, piazza San Carlo, insomma l’intero centro storico, ma anche qualcosa in più se consideriamo le ex dimore sabaude e le ex aree industriali rinate sotto il segno della cultura, attendono migliaia di visitatori.

     Si comincia in diretta Tv, tra il 16 e il 17 marzo, con una notte bianca, anzi, meglio, con la "Notte tricolore”. Il 18, poi, arriva il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Fitto anche il programma dei raduni nazionali delle principali associazioni d’arma. Torino ospiterà i Granatieri di Sardegna (15-17 aprile), gli Alpini (6-8 maggio), la Cavalleria (20-22 maggio), l’Aeronautica (10-12 giugno), i Bersaglieri (15-19 giugno) e i Carabineri (24-26 giugno). Previsto anche il raduno nazionale dei Vigili del fuoco, il 10 e l’11 settembre.

    Capolavori artistici, creatività, moda, qualitàdella vita, cibo in primo luogo: dal 17 marzo quanto l’Italia ha di meglio da offrire al mondo viene raccontato nel cuore del Piemonte con il dichiarato intento di riflettere sul processo di costruzione dell’identità nazionale, guardando al futuro del Paese. Tutto ciò si chiama Esperienza Italia. Dal17 marzo al 20 novembre è possibile visitare tre mostre allestite all’interno delle Officine grandi riparazioni, un imponente esempio di architettura industriale dove, a cavallo tra Ottocento e Novecento, erano costruiti o aggiustatii vagoni ferroviari e le locomotive. La prima mostra s’intitola Fare gli italiani, 150 anni di storia nazionale. Racconta questo secolo e mezzo di unità in modo critico, evidenziando gli elementi che hanno tenuto insieme gli italiani e i fattori che, viceversa, hanno alimentato le divisioni. L’allestimento multimediale invita il visitatore a scegliere i propri percorsi secondo un criterio cronologico e uno tematico: ai fenomeni che maggiormente hanno inciso sull’Italia sono dedicate, infatti, tredici “isole” che richiamano l’attenzione su città, campagne, scuola, Chiesa, migrazioni, Prima e Seconda guerra mondiale, partecipazione politica, mafie, fabbriche, consumi, trasporti, mass media. Stazione futuro, qui si rifà l’Italia è, invece, la mostra che presenta l’Italia degli anni a venire, sotto il segno dello sviluppo tecnologico. La terza mostra allestita alle Officine grandi riparazioni (Il futuro nelle mani, artieri domani) vede protagonista assoluto l’artigianato.

    Anche la Reggia di Venaria, a pochi chilometri da Torino, capolavoro barocco costruitonel Sei-Settecento, ospita tre mostre: La bella Italia, che presenta l’arte e l’identità di undici “capitali” degli Stati preunitari, da Torino a Napoli, da Milano a Roma, da Venezia a Genova, da Firenze a Parma (visitabile dal17 marzo all’11 settembre), Moda in Italia,150 anni di eleganza (dal 23 luglio all’11 dicembre) e Leonardo, il genio, il mito (dal 22 ottobre 2011 all’8 gennaio 2012).

    Per avere maggiori informazioni è opportuno contattare Turismo Torino, telefono 011/81.85.011, visitando il suo sito internet www.turismotorino.org, oppure far capo al
Comitato Italia 150,
telefono 011/49.92.333 (dove è possibile avere ulteriori
dettagli sulle mostre e prenotare le visite), www.italia150.it.

Alberto Chiara

Roma, certo. Ovviamente Torino, ci mancherebbe. Ma anche Milano, con un programma ricco, coinvolgente, capace di sorprendere. E ancora: Firenze, anch'essa capitale per una manciata d'anni (dal 1865 al 1871, per essere precisi), Venezia, Genova, Napoli, Cagliari. E poi Cuneo, Gorizia, Mantova, Padova  (nel sito www.italiaunita150.it  c'è l'elenco aggiornato delle manifestazioni, da Ascoli Piceno a Taranto passando per L'Aquila e Nuoro, giusto per limitarci ad alcuni tra i tanti esempi possibili). L'Italia festeggia i 150 anni dell'Unità del Paese con numerosissime iniziative, prima fra tutte la "Notte tricolore",  comune a tutte le realtà del Paese, da Nord a Sud. 
   
     ROMA - Buona musica gratuita, pieces teatrali, animazione e fuochi d'artificio per strada. Musei e negozi aperti fino a tardi. Vie e piazze addobbate con bandiere e stendardi. Nella notte tra il 16 e il 17 marzo Roma diventa un palcoscenico d'eccezione. Il programma prevede più di 100 appuntamenti, 13 concerti musicali, 35 spettacoli, 11 visite guidate e 18 aperture straordinarie di musei con - all'interno - brani d'autore, danze, arte e cultura. Si peresentano occasioni pressoché uniche, e comunque imperdibili: la Camera dei deputati, ad esempio, resta aperta per l'occasione della "Notte tricolore"; in particolare è possibile partecipare a delle visite guidate all'interno di Montecitorio, a partire dalle 20 e fino alle 2 del mattino di giovedì 17 marzo.
    La grande festa tricolore comincia in ogni caso alle 19 in piazza del Campidoglio con il concerto della banda dei Vigili urbani e prosegue sempre lì, dalle 22,15 in poi, con lo spettacolo 150 ma non li dimostra di Gigi Proietti e Umberto Broccoli. Per volontà della Presidenza della Repubblica e in collaborazione con la Rai, alle 21,15 da piazza del Quirinale inizia una diretta televisiva curata da Rai1 e condotta da Pippo Baudo e da Bruno Vespa. Il programma si chiama  "Centocinquanta" ed è un singolare viaggio attraverso l'Italia articolato in sei puntate. Da Garibaldi a Mussolini, da Cavour a De Gasperi, da Petrolini e Totò e, ancora, dal velocifero alla Ferrari, dal valzer alla discomusic, dal telegrafo ai telefoni cellulari, vengono raccontati fatti, storie e protagonisti dal 1861 ad oggi.
    Nella prima puntata i due conduttori si collegano, appunto, con piazza del Quirinale per annunciare la "Notte tricolore". L'evento, alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, con Gianni Morandi che intona l'Inno nazionale insieme con tutta la piazza, accompagnato dall'orchestra giovanile e dal coro di Santa Cecilia, è condotto sul palco da Fabrizio Frizzi, affiancato da Manuela Arcuri. Sono inoltre previsti collegamenti con le città risorgimentali: a Roma, alla Stazione Termini, viene srotolata una gigantesca bandiera tricolore sulla facciata dell'edificio; a Torino, il collegamento è con piazza Vittorio Veneto; a Firenze, in una piazza della Signoria piena di sbandieratori, viene presentato ill nuovo Auditorium con tanto di alzabandiera; poi ci si sposta a Napoli, al Teatro San Carlo in compagnia del grande ballerino Roberto Bolle. Il Presidente Napolitano interviene dal palco in piazza del Quirinale in collegamento con le quattro città e con lo studio.
    Le celebrazioni proseguono, poi, il 17 marzo, con l'apertura del complesso monumentale di porta San Pancrazio e con l'inaugurazione del Museo della Repubblica romana e della memoria garibaldina.

     TORINO - La "Notte tricolore" segue idealmente le "notti bianche" olimpiche che cinque anni fa, nell'inverno 2006,  ebbero un grande successo, contribuendo a diffondere un'immagine più brillante di Torino, finalmente in technicolor e non più (solo) grigio-fabbrica.  L'accensione intorno alla Mole Antonelliana di un anello luminoso bianco-rosso-verde segna l'inizio dei festeggiamenti.
      Verso le 21 la festa fa tappa in piazza Vittorio, che sarà il fulcro della kermesse musicale della serata. Sul palco salgono cantanti in rappresentanza delle varie regioni italiane: Irene Fornaciari, Syria, poi Davide Van De Sfroos, per concludere con Roberto Vecchioni, che incontrerà prima a Roma il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e poi raggiungerà Torino per esibirsi sul palco di piazza Vittorio. Gli spettacoli proseguiranno fino alla mezzanotte, quando l'attenzione del pubblico sarà attratta dallo spettacolo pirotecnico in programma sul Po per augurare buon compleanno all'Italia.
    Il centro di Torino è, a dire il vero, in festa già dal pomeriggio del 16 marzo: nelle piazze e nelle vie centrali della città, le province piemontesi portano in strada spettacoli ed intrattenimenti, con degustazioni dei prodotti tipici di ciascun territorio. I musei, i teatri e le gallerie rimangono saranno aperti gratuitamente per tutta la notte e torneranno le Luci d'Artista, chesaranno nuovamente accese per l'occasione. Un ruolo di rilievo sarà poi dedicato a Cioccolatò, la fiera torinese del cioccolato: avrà uno stand dedicato in piazza Vittorio, con un'Italia di cioccolato lunga 13 metri del peso di 14 quintali.

     FIRENZE - Nella notte tra il 16 e il 17 marzo, un fascio di luce tricolore illumina i palazzi delle istituzioni e i monumenti storici, come Palazzo Vecchio, Ponte Vecchio, il Duomo, la Basilica di Santa Croce, Loggia dei Lanzi, Arco di piazza della Repubblica. In via del tutto straordinaria sono anche aperti (fino all'1) i musei comunali e statali, come la Galleria degli Uffizi. Una grande bandiera tricolore, di ben 15 metri quadrati, viene issata sul pennone collocato in cima al Campanile di Giotto, già alto di suo 82 metri.

     MILANO - La città festeggia i 150 anni dell'Unità d'Italia (anche) facendosi  sapientemnete aiutare dalla luce, grazie a un tram tricolore scintillante che circolerà fino a Natale e all'illuminazione bianca, rossa e verde che resterà accesa nella volta di Galleria Vittorio Emanuele per una quindicina di giorni. Giovedì 17 marzo, tutti i musei civici sono aperti (ingresso gratuito) per consentire ai milanesi di celebrare la ricorrenza all’insegna dell’arte e della cultura. Rimane aperto al pubblico anche Palazzo Marino, sede dell’Amministrazione cittadina, che nel pomeriggio ospita un concerto della Banda Civica. Per chi vuole dedicare la giornata all’attività sportiva, sono in funzione anche alcuni impianti di MilanoSport. Come per ogni giorno festivo, viene sospeso l’Ecopass.
     In particolare il Museo del Novecento è aperto al pubblico dalle 9.30 alle 22.30 (ultimo ingresso alle ore 21.30). Porte aperte dalle 9.00 alle 17.30, invece, per i Musei del Castello Sforzesco, il Museo Archeologico, il Museo di Storia Naturale e il Museo del Risorgimento, dove è custodito il primo Tricolore della storia d’Italia. Aperti dalle 9.00 alle 17.30 anche la Galleria d’Arte Moderna, Palazzo Morando – Costume Moda Immagine, l’Acquario, la Casa Museo Boschi Di Stefano, lo Studio Museo Francesco Messina, la Cripta di San Giovanni in Conca, l’Antiquarium Alda Levi.

     GENOVA - Per la "Notte tricolore", apertura straordinaria della casa di Mazzini. Molto spazio della festa è dedicata alla grande musica popolare italiana, con esibizioni delle 16 bande cittadine che eseguiranno brani legati all'epopea unitaria e dei cori risorgimentali che proporranno arie classiche della storia italiana. Spazio particolare sarà riservato alle tradizioni musicali genovesi dal "Trallalero", forma di canto polifonico a cinque voci, al Mandolino, la cui storia è ancora viva in tutta la Liguria.

     VENEZIA - Sono andati esauriti in poco più di un'ora i 400 biglietti-invito per il concerto della "Notte tricolore" che si tiene al Teatro La Fenice la sera di mercoledì 16 marzo (inizio ore 20,30). L'evento è organizzato dalla Fondazione La Fenice in collaborazione con la Prefettura di Venezia e il Comune, ai quali erano riservati il resto degli inviti. Il concerto per la festa dei 150 anni dell'Unità nazionale propone musiche corali ed orchestrali tratte dalle opere di Giuseppe Verdi, precedute dall'esecuzione dell'Inno nazionale, «Il canto degli italiani» di Michele Novaro e di Goffredo Mameli. Il giovane padovano Alvise Casellati dirige l'orchestra del Teatro La Fenice (il maestro del coro è Claudio Marino Moretti) in un programma che si apre con le sinfonie d'overtoure di Rigoletto, Nabucco, Attila, Luisa Miller, La forza del destino e La traviata, e prosegue con i cori "Gli arredi festivi" (Nabucco), "Si ridesti il leon di Castiglia" (Ernani) e "O Signore dal tetto natio" (Lombardi alla prima crociata), per concludersi con il celebre "Va pensiero" (Nabucco), uno dei più importanti simboli musicali del Risorgimento.

     BOLOGNA - 
Musei, biblioteche e palazzi storici aperti e visitabili, con lezioni di musica e storia, nella "Notte tricolore". Così Bologna, dalle 20 alle 24 del 16 marzo, intende vivere la giornata di festa nazionale per il 150° dell'Unità d'Italia. La mattina del 17 marzo le celebrazioni partono con la deposizione di corone al monumeto ai caduti in piazza Nettuno. In piazza Maggiore, lo schieramento dei reparti delle forze armate e la fanfara della Brigata di Cavalleria Pozzuolo del Friuli. La giornata si concluderà al teatro Manzoni con un concerto di musiche verdiane eseguite dall'orchestra e dal coro del Teatro Comunale.

      NAPOLI -  Per le celebrazioni dell’Unità d’Italia, nella notte tra il 16 e il 17 marzo è possibile visitare gratuitamente Palazzo Reale. Il 17 marzo tutti i musei, i parchi e le aree archeologiche statali rimangono aperti per tutta la giornata. L'ingresso è gratuito. g

      PALERMO - In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, Palermo ha programmato una serie di eventi che si svolgono in prevalenza presso l’Archivio storico e presso la Galleria d’arte moderna. Il 17 marzo, alla 17,30, Concerto lirico-vocale dal titolo Musica nell’Italia unita, a cura dell’Associazione “Amici dell’Opera lirica Ester Mazzoleni” all'Archivio storico comunale, in via Maqueda 157. Vengono eseguite pagine ispirate al Risorgimento di compositori quali i siciliani Armò, Patania, d’India e Favara. Inoltre brani di Mameli, Verdi, Bellini e Puccini.

Alberto Chiara

Una parte della Chiesa ha fatto «fatica ad accettare le modalità del processo di unificazione politica, anche causa dei frequenti provvedimenti anticlericali e anticattolici, prima e dopo il 1861». In ogni caso, l«educando le coscienze al senso del bene e del male, all’onestà e all’altruismo, la Chiesa contribuì lealmente a formare gli italiani, continuando una lunga tradizione educativa e culturale e avviando nuove opere di solidarietà e di promozione umana».

    Lo dicono i vescovi del Piemonte e della Valle d'Aosta che hanno scritto una lettera a tutte le diocesi in occasione dei festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia. A Torino, all’epoca anche la Chiesa locale era divisa. L’arcivescovo di allora, monsignor Luigi Fransoni (1789-1862), venne arrestato, incarcerato nel Forte di Finestrelle ed infine mandato in esilio a Lione per aver pesantemente criticato il Governo sabaudo. Oggi quelle polemiche sono materia di studio degli storici.

    La Chiesa piemontese ricorda i «santi sociali» che contribuirono «al bene degli italiani e dell’Italia in fieri». E il loro esempio vale ancora oggi: «Di fronte alle crescenti sfide che il rapido e tumultuoso cambiamento in atto nel mondo pone al nostro Paese c’é bisogno di una forte e decisa ripresa spirituale da parte delle varie componenti familiari, politiche, economiche, sociali, per sostenere con fiducia il cammino della nazione, di cui ciascuno è responsabile, chiamato a fare la sua parte anche con sacrificio personale, per coltivare la speranza di un domani migliore».

    Il messaggio contiene anche un appello a «promuovere il bene comune, nel rispetto, nell’ascolto e nel dialogo con le diverse culture e impostazioni di vita di cui sono ricche le nostre comunità, per far crescere la solidarietà e la giustizia sociale, il rispetto della vita e della dignità di ogni persona umana, la centralità della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna».   

    «La civiltà di un popolo», viene sottolineato poco dopo, «si rivela in particolare dal modo con cui esso accoglie e sostiene coloro che sono più deboli, sofferenti, poveri, indifesi, stranieri. Sono essi che ci indicano le vie per costruire una nazione veramente unita nell’amore e nella pace». Lo scritto dei vescovi della Conferenza episcopale piemontese incoraggia a guardare avanti, perché «con l’impegno di tutti, l’unità nazionale raggiunta 150 anni fa diventi sempre più unione morale e spirituale».


Alberto Bobbio

A raccogliere l’ideale testimone è Massimo Bottura, chef che l’Accademia internazionale della gastronomia ha votato quest’anno come miglior cuoco al mondo. Tocca a lui, infatti, inaugurare a Palazzo Vecchio di Firenze, il 30 marzo, le celebrazioni per il centenario della morte di Pellegrino Artusi, il padre della moderna cucina italiana (1820-1911), con un convegno volto a sottolineare la grande attualità delle sue gustose ricette, raccolte ne La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene, pubblicato per la primavolta nel 1891, uno dei libri più letti dagli italiani con I promessi sposi e con Le avventure di Pinocchio. L’Artusi, agiato borghese romagnolo di Forlimpopoli, uomo di cultura, critico letterario e gastronomo, animò un “Risorgimento” culinario. Grazie a lui l’Italia si riunì anche a tavola. La sua penna rese noto a tutti il patrimonio gastronomico di regioni lontane, dalla Sicilia al Piemonte.
     Qualche esempio? Ecco, dal testo dell’Artusi (l’ultima edizione di Bur, curata da Alberto Capatti, è del novembre 2010), una sfiziosa descrizione degli antipasti. «Principii o antipasti sono propriamente quelle cosette appetitose che s’imbandiscono per mangiarle o dopo la minestra, come si usa in Toscana, cosa che mi sembra più ragionevole, o prima, come si pratica in altre parti d’Italia. Le ostriche, i salumi, tanto di grasso, come prosciutto, salame, mortadella, lingua; quanto di magro: acciughe, sardine, caviale, mosciame (che è la schiena salata del tonno),  possono servire da principio tanto soli che accompagnati col burro. Oltre a ciò, i crostini servono benissimo all’uopo”.  

Giusi Galimberti

Nel festeggiare il suo 150° compleanno, l'Italia farebbe bene a interrogarsi sul suo futuro: quale Paese vogliamo essere? Quale Paese stiamo diventando? Quale Paese intendiamo lasciare ai nostri figli? Classe politica e media non sembrano per nulla interessati alla questione: le strategie per il futuro sono totalmente assenti dal dibattito pubblico, ingombrato da polemiche quotidiane di bassa lega. Al loro posto, però, non mancano fatti e segnali che si incaricano di dare una risposta. Vediamoli.

    L'Italia non sta certo puntando sulla cultura. Chi ci governa non ritiene che l'opera lirica, il teatro, il cinema siano un elemento centrale della nostra identità né un fattore (anche economico) strategico su cui investire. Qualche dato: nel 2008 il Tesoro ha tagliato più di 213 milioni di euro al ministero della Cultura. Tra il 2009 e il 2011 la scure si è abbattuta sul Fus (Fondo unico per lo spettacolo) per 216 milioni di euro. Nel triennio che ci aspetta sono previste ulteriori riduzioni per 1,7 miliardi di euro. Proviamo a tirare le somme: fra il 2008 e il 2013 la decurtazione ammonterà a 2,8 miliardi di euro. Muti che interrompe il Nabucco all'Opera di Roma per cantare, coro e pubblico insieme, il Va' pensiero contro i tagli, è un evento che merita di essere ricordato.

     Va meglio per i beni culturali? Chiedete a Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, che si è dimesso in maniera irrevocabile per l'impossibilità di tutelare il nostro patrimonio «stante la progressiva e massicia diminuzione degli stanziamenti di bilancio». Intanto il ministro Bondi si è arroccato in casa, in attesa di rassegnare pure lui le dimissioni (ma perché attendere?), offeso dagli attacchi piovutigli addosso fin dai tempi dei famigerati crolli di Pompei... Che dire dei beni ambientali? Basterebbe chiederlo al ministro Prestigiacomo, o agli enti che amministrano i nostri parchi nazionali, ai limiti della chiusura...

    E', il nostro, un Paese che punta sullo sviluppo di Internet, ovvero la più innovativa rete di comunicazione e servizi? Il recente Milleproroghe ha tagliato ulteriori 30 milioni di euro dal già esiguo fondo per lo sviluppo della banda larga, destinandoli - guarda caso - al digitale terrestre. Traduzione: il Governo non punta su Internet, ma sulle televisioni...

    La scuola è al centro dei nostri pensieri? Abbiamo deciso di concentrare le nostre energie sulla formazione e qualificazione professionale dei giovani? Sarebbe opportuno che il ministro Gelmini leggesse bene il rapporto Ocse sulla spesa per l'istruzione pubblica: l'Italia spende il 4,5 del proprio Pil per la scuola, contro una media Ocse del 5,7. Solo la Repubblica Slovacca spende meno tra i paesi industrializzati. Nel frattempo, il numero di iscritti all'università è in calo da diversi anni...

     Abbiamo scelto di concentrarci sulla cosiddetta green economy, sulle energie rinnovabili? Niente affatto. Il Paese del sole ha scelto di investire nel nucleare, mentre l'incertezza sugli incentivi per le energie rinnovabili rischia di mettere a repentaglio circa 140.000 posti di lavoro.

     Potremmo essere il Paese della cultura, dell'opera lirica, dei beni artistici, delle bellezze naturali, quindi del turismo, della cucina, della qualità della vita; potremmo formare personale specializzato, in grado di gestire e sviluppare le risorse che abbiamo avuto in dono. Invece tutti i segnali a disposizione indicano che stiamo buttando a mare il nostro "petrolio". Italia, che Paese vuoi essere?

Paolo Perazzolo

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