Muoiono 717 persone a La Mecca e Gianluca Buonanno non perde l’occasione di un tweet da manuale del linguaggio d’odio online. Cinguetta: «Cose da pazzi! Sono come animali…più che alla Mecca dovrebbero andare allo zoo!!!».
Del resto, l’europarlamentare leghista, gioventù nel Msi di Rauti, non è nuovo a paragoni con gli animali. A fine agosto, illustrando le intenzioni del Comune di Borgosesia di cui è sindaco (sul sito istituzionale campeggia il logo cittadino accanto a Buonanno in versione Superman), spiegava: «Se e quando arriveranno dei clandestini dalle mie parti metterò il filo spinato carico di energia elettrica intorno al perimetro del territorio del mio Comune per non farli entrare. Esattamente come si fa con i cinghiali, filo spinato con l’energia elettrica».
Il 2 marzo, invece, durante la trasmissione televisiva Piazzapulita di La7, aveva detto che «i rom sono la feccia della società», facendo balzare “feccia” in testa alle classifiche delle parole usate nei discorsi d’odio sui social network.
Da sempre, infatti, Buonanno non disdegna i toni forti e i gesti provocatori. A livello locale come a Roma e Bruxelles. In provincia di Vercelli, nei Comuni della Valsesia che ha amministrato, ha istituito l’Assessorato alla Dieta, intitolato vie a Benito Mussolini e distribuito preservativi agli stranieri. Arrivato a Montecitorio, il primo giorno della legislatura si è presentato con un forcone, «simbolo della rivoluzione contadina». Da allora, ha spiegato che avrebbe preso i grillini «a calci in c…», ha sventolato spigole (sì, i pesci!) tra i banchi della Camera per protestare contro gli immigrati e agitato un finocchio per irridere un deputato di Sel, partito a suo dire da ribattezzare «Sodomia e Libertà». Del resto, per gli omosessuali ha proposto, ai microfoni della Zanzara, di schedarli, fare un Tso (il ricovero obbligatorio disposto per chi ha problemi di salute mentale) e regalargli una banana. Di Gad Lerner ha detto «quell’ebreo... È un tirchio pieno di quattrini che fa il comunista», dei drogati che vorrebbe «venissero bastonati», del Sud che «Garibaldi ha unito l’Italia, ma ha diviso l’Africa».
A furia di denigrare, Buonanno incappa in una sentenza della magistratura
Anche sui musulmani ha le idee chiare: «Gli islamici», ha detto alla Zanzara, «non cambieranno mai. Ci vuole la legge del taglione, questi sono indietro di mille anni. Se ammazzano qualcuno, bisogna fare altrettanto. Occhio per occhio, dente per dente».
Ogni tanto inciampa. Come quando disse: «Perché il Grana Padano si chiama così? Se c’è questa terminologia significa che la Padania esiste». Gli fecero notare che il sillogismo scricchiolava.
A furia di denigrare il “diverso” di turno, gli è capitato anche di incappare in una sentenza della magistratura. Il 5 dicembre, quando il Tribunale di Vercelli ha condannato Buonanno, il Comune di Varallo e il sindaco Eraldo Botta per il reato di ritorsione.
L’europarlamentare infatti è attualmente sindaco a Borgosesia e fino al 2012 era sindaco a Varallo, dove invece ora è assessore e prosindaco. Come mai è stato condannato? La vicenda è iniziata nel 2009, quando il Comune aveva tappezzato l’ingresso di Varallo di quattro grandi cartelli stradali con immagini di donne con il burqa, il burqini, il niqab e la foto di un venditore ambulante. Una croce rossa su ognuno e la scritta: «Vietato l’uso di burqa, burqini e niqab. Vietata l’attività a “vu cumprà” e mendicanti».
«Quanto a quel tipo di velo e presunti problemi di sicurezza», spiega l’avvocato Alberto Guariso dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), «un Comune non può intervenire, è una competenza dello Stato che può vietare la copertura del volto solo in occasione di pericoli specifici per l’ordine pubblico, come i caschi durante le manifestazioni per esempio». Per mendicanti e “vu cumprà”, «da un lato c’era l’idea, inammissibile per il nostro ordinamento, di vietare l’ingresso in un Comune per i più poveri; dall’altro, c’era proprio una falsità raccontata dalle Istituzioni: sui cartelli era scritto “Divieti stabiliti con Ordinanza Sindacale” ma quell’ordinanza parlava unicamente di copertura del volto, non di mendicanti e “vu cumprà”».
Di nuovo in tribunale, nuova condanna
Dopo aver tentato invano per 5 anni di convincere il sindaco alla rimozione dei cartelli, l’Asgi insieme a quattro cittadini ha portato le carte al Tribunale di Torino. Solo il giorno prima dell’udienza il Comune ha rimosso i cartelli, ma il giudice ha riconosciuto il carattere «gravemente discriminatorio» delle affissioni. Tuttavia, ha stabilito che, mentre l’Asgi era titolata, i quattro cittadini non avevano diritto a presentare ricorso perché, pur essendo radicati sul territorio (chi era nato e cresciuto lì, chi insegnava, chi ci trascorreva parte dell’anno), non erano residenti a Varallo.
A questo punto è scattata la “vendetta” di Buonanno e del sindaco Botta, sempre a suon di affissioni. Con tanto di logo del Comune, hanno tappezzato la città di manifesti, dove i due politici ‒ con espressione «ridente e strafottente» afferma l’ultima sentenza di dicembre – accusavano i quattro cittadini, indicati per nome e cognome, di essere «suonatori suonati».
A questo punto, si torna dal giudice: «Fortunatamente», spiega l’avvocato Guariso, «il diritto europeo e nazionale tutela contro le ritorsioni coloro che hanno agito, in qualsiasi forma, per rimuovere una discriminazione, perché chi agisce in tal senso non deve mai essere esposto al rischio di subire una vendetta o un danno, anche solo di immagine».
Il 5 dicembre è arrivata la sentenza del Tribunale di Vercelli: i tre “amanti della cartellonistica” (Buonanno, Botta e lo stesso Comune) sono stati condannati a risarcire 11.500 euro di danni e a pagare le spese legali, oltre a pubblicare la decisione sul Corriere della Valsesia (ove era stato pubblicato anche il manifesto incriminato), nonché sul sito web del Comune e sul profilo Facebook dell’europarlamentare. Commenta l’avvocato Guariso: «La sentenza è di grande importanza e va fatto sapere che l’ordinamento europeo tutela chi si oppone alle discriminazioni: finora era accaduto solo in un’altra occasione che fosse sanzionata in tal modo una ritorsione».