(nella foto: Rosaria Schifani e il fratello Giuseppe Costa, arrestato per mafia)
L’uomo non è il suo errore. Non è il suo peccato. Ma è le sue scelte. In questi anni, mi sono avvicinata a molti cosiddetti mafiosi (che tecnicamente non si sono “pentiti”, non sono cioè diventati collaboratori di giustizia, ma che tuttavia hanno rinnegato le loro scelte passate, dissociandosi); ne ho ascoltati alcuni, abbracciati tanti. Allontanato pochi. Ma quei pochi allontanati sono stati uno “spartiacque”: a me, volontaria, non viene chiesto di “giudicare”. Non sono un magistrato, né un agente penitenziario, né una educatrice. Sono una giornalista e una donna che prova a essere cristiana e che si inginocchia di fronte alle miserie della sua e delle altre vite, asciugando lacrime, purgando ferite. Cercando di trovare l’uomo, dove egli si nasconde. Credendo che ognuno può essere toccato dalla Grazia, e diventare una persona migliore. Non giudico i mafiosi, condanno senza appello la mafia, ma mi impegno anche per loro. Tuttavia, scelgo. Scelgo di non interfacciarmi con chi – per parafrasare le parole di Rosaria al funerale del marito – non vuole inginocchiarsi, e chiedere perdono. Perché la mafia è il male. La mafia fa schifo. E questo deve essere chiaro: il fatto che io – insieme a un esercito di volontari appassionati, competenti, generosi – mi affianco a persone detenute anche per associazione di stampo mafioso, non vuol dire che, prima di tutto, non senta il grande, grandissimo rispetto per le vittime. Anzi!
Il dolore di Rosaria è, però, anche il dolore di tutti noi, quando dobbiamo scegliere tra famiglia e giustizia. E qui le cose si fanno più complicate. Qui non c’è il volontario, accanto a un mafioso. Qui c’è una donna, accanto a un fratello. Al sangue del suo sangue. Lo ha chiamato Caino, e l’immagine del primo fratricida della storia calza a pennello a Giuseppe Costa, che ha metaforicamente pugnalato la sorella, scegliendo – se le accuse saranno confermate – proprio quella mafia, che ha strappato a lui il cognato, alla sorella un marito, al nipote - capitano delle Fiamme Gialle - un padre e all’Italia un uomo onesto.
Rosaria dice di vergognarsi. Ma le scelte, appunto, sono individuali. Nessuno può e deve vergognarsi delle azioni di un’altra persona. Per ora, Giuseppe Costa ha scelto di non rispondere ai magistrati. Voglio pensare che non sia una ammissione di colpa, ma una semplice “garanzia processuale”. Voglio pensare che la mafia non sia riuscita a fare anche questo, a “vendicarsi” di Rosaria, del suo impegno di testimonianza, arruolandole in fratello. Colpendola nel sangue, appunto. Eppure, se anche fosse, Rosaria non deve vergognarsi. Lei ha fatto la scelta giusta. Chiede al fratello di «accettare il giudizio degli uomini, non solo quello di Dio». Una frase che, per chi ha un minimo di conoscenza delle dinamiche mafiose, ha la potenza di una rivoluzione. Non lo fanno, i mafiosi: si dissociano, si pentono davanti a Dio, ma non collaborano. Non riconoscono il giudizio degli uomini. Accettano quello di un dio che si sono creati a proprio uso e consumo. Ma Rosaria, come 30 anni fa, continua a far sentire la sua voce. La mafia non sparirà, dall’oggi al domani. Ma se qualcosa può intaccarla… ecco, è la voce. Fosse anche «voce di uno che grida nel deserto».