Ne possiamo fare a meno? Ai cacciabombardieri F-35 fabbricati dall’americana Lockheed Martin possiamo rinunciare? C’è chi dice “assolutamente sì”: Famiglia Cristiana lo afferma da tempo, dando voce agli ampi settori pacifisti della società civile, mondo ecclesiale in primo luogo (Pax Christi, Acli, movimenti, ordini e congregazioni missionarie). Chi s'oppone sostiene l’inutilità di questa faraonica spesa, specie in un momento di gravissima crisi economica in cui tra disoccupazione, nuovi poveri e tagli allo Stato sociale quelle risorse sono necessarie per permettere all’Italia di rialzare la testa, cominciando dalle famiglie. «Gli oltre 14 miliardi per l’acquisto e lo sviluppo dei cacciabombardieri (e più di 52 per l’intera gestione del programma) potrebbero essere spesi molto meglio» sostiene la Rete Disarmo.
Ma c'è anche chi ci ricorda che siamo nel Patto Atlantico, che all’Alleanza dobbiamo contribuire anche noi, integrandoci nel modello di difesa euro-americano e in quello delle Nazioni Unite. A Matteo Renzi, intenzionato a sforbiciare le spese militari e segnatamente a dimezzare l’ordine degli F-35, passando da 90 a 45 velivoli, il presidente Giorgio Napolitano e, soprattutto, Barack Obama hanno detto che sfilarsi adesso non è giusto, non è opportuno, non è coerente, non è saggio. E il ministro della Difesa Pinotti ha rassicurato i vertici delle Forze Armate: «Nessun passo indietro».
Nel suo recente viaggio in Europa, in particolare, il presidente degli Stati Uniti ha ricordato come gli Usa spendano circa il 4 per cento del loro Prodotto interno lordo nella difesa e che negli ultimi anni abbiano aumentato i loro investimenti nell’Alleanza Atlantica. Secondo l’ultimo rapporto annuale della Nato (dati 2013), Washington ha pagato il 73 per cento della spesa totale per la difesa dell’Alleanza. Nel 2007 la quota era del 68 per cento.
Altro che tagliare: Obama ha sollecitato i Paesi membri, Italia in testa, ad arrivare alla quota del 2 per cento sul Pil (lo fanno Grecia, Gran Bretagna e Francia; l’Italia è più indietro, attorno all’1,8 - stando altre stime è all'1,2 per cento -; la Germania all’1,3, la Spagna all’0,9). Occhio, ha ammonito Barack Obama, la Russia che s’è appena ripresa la Crimea, per la difesa spende il 4,5 per cento del Pil. Negli articoli che seguono vengono argomentate le ragioni pro e contro. Per quel che concerne le spese militari in genere e quelle relative agli F-35 in particolare, rimangono alcuni punti fermi che Famiglia Cristiana ripete da anni. Primo: la Costituzione italiana detta vincoli precisi rispetto all’uso della forza militare. L’articolo 11 vieta il ricorso alla guerra per risolvere le controversie internazionale. Non abbiamo assolutamente bisogno di velivoli progettati per essere imbarcati su portaerei, in grado di bombardare obiettivi a migliaia di chilometri di distanza dai confini nazionali. Un conto è difendersi, un conto è attaccare. Il primo impegno lo si onora con dei caccia intercettori. Secondo punto: i conti non tornano. Stando agli ultimi rapporti di analisti esperti, i dati relativi al ritorno industriale, estrapolati da diverse fonti e confermati anche da Lockheed Martin, confermano ad oggi un rientro per le aziende del nostro Paese di circa il 19 per cento in confronto all’investimento pubblico (meno di 700 milioni di euro sui 3,4 miliardi già spesi fin qui dai Governi italiani). Se proprio si deve rinnovare il parco aerei è meglio prediligere joint-venture con i colossi aerospaziali europei, mettendo a frutto le capacità tecnico-scientifiche italiane e non limitandoci ad avvitare bulloni per conto terzi.
Terzo: le problematiche tecniche e di gestione che continuano a rimbalzare dagli Usa ci parlano di un programma in difficoltà, e per questo pericoloso anche per i partner internazionali, sebbene Pentagono e Lockheed Martin minimizzino e continuino nel loro percorso. Tutto ciò però deve essere elemento da considerare attentamente da parte del nostro Parlamento (il dibattito riprende il 3 aprile, all'interno della Commissione difesa della Camera, se vuole essere serio a riguardo di questa spesa pubblica.
Quarto e ultimo punto: l’opportunità politica la cui valutazione spetta al nostro Governo e al nostro Parlamento. E a nessun altro. E’ più importante tutelare il welfare, rilanciare l’occupazione, avviare investimenti produttivi oppure riempire gli arsenali?