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venerdì 02 giugno 2023
 
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Il nuovo volto della Cina all'ombra del XX Congresso del Partito comunista

20/10/2022  Nonostante gli errori nella gestione della pandemia e le insofferenze generate nel proletariato che ingrossa città sempre più congestionate e inquinate, Xi Jinping è stato riconfermato leader. Il suo obiettivo? Prendere le distanze sia da Mosca che da Washington e ritagliare per Pechino il ruolo di attore principale del continente asiatico

di Piergiorgio Pescali

Il 13 ottobre, pochi giorni prima dell’inaugurazione del XX Congresso del Partito comunista cinese, sul ponte Sitong, nel quartiere Haidan di Pechino sono comparsi due striscioni di protesta; in entrambi, oltre alle rivendicazioni di libertà sociali, si criticava Xi Jinping, definito “dispotico traditore". L’azione, effettuata da un singolo manifestante subito arrestato, potrebbe essere vista come un fatto isolato e privo di importanza, ma le autorità cinesi non hanno preso la protesta con leggerezza. Il malcontento generato dal pugno di ferro usato nella gestione della pandemia per contenere i contagi (che pur ha dato buoni risultati), la forte centralizzazione delle decisioni politiche ed economiche volute dallo stesso Xi, hanno creato un’inquietudine generalizzata tra molti strati della popolazione cinese. Lo sviluppo economico a cui ha assistito la Cina, in particolare dal 2013, quando l’attuale Presidente ha preso le redini del potere, è innegabile così come evidente è il miglioramento delle condizioni di vita di parte della popolazione cinese. Il problema è l’altra parte della popolazione, un proletariato che è andato ad ingrossare le periferie di città sempre più congestionate e inquinate in cui la vita si fa sempre più cara e il tempo libero, tra lavoro ed estenuanti trasferimenti giornalieri, si è assottigliato.

Le proteste, veicolate in chiave sociale, religiosa o nazionalista, si concentrano in questa classe sociale, che dovrebbe invece essere la base del partito. Xi Jinping ha cercato di creare uno sviluppo economico, militare e scientifico che avocasse a sé la fierezza della cultura han, la moralità confuciana, il nazionalismo, ma che al tempo stesso non dimenticasse il talento e, cosa nuova per la Cina, un ambientalismo che non fosse solo di facciata. La Belt and Road, la transizione energetica che include rinnovabili e nucleare, la ricerca spaziale (in funzione anche militare) sono solo gli ultimi programmi avviati da Xi Jinping per trascinare la Cina nel “posto che le compete nel mondo”.

È indubbio che i successi vi sono stati, e tanti, ma il prezzo che il partito ha dovuto pagare è stato altissimo: la campagna anticorruzione non ha risparmiato neppure coloro che fanno parte della più stretta cerchia del presidente e solo nel 2022 sarebbero più di mille i funzionari coinvolti nel repulisti, mentre le rivendicazioni etniche, nazionaliste e democratiche sono state represse anche con violenza e sempre con le stesse motivazioni: stabilità e sicurezza.

Non è un caso che l’applauso più lungo nel discorso di Xi al XX Congresso sia stato tributato sul tema Taiwan, la cui riunificazione con la Cina popolare viene considerata irrinunciabile e inevitabile, anche con l’utilizzo della forza. Frasi forti, più propagandistiche che pragmatiche, ma che indicano la volontà di Pechino di essere pronta a spiccare un salto di qualità nel confronto internazionale, come del resto si è già visto con il cambio di rotta nei confronti del problema coreano (Pechino non ha biasimato Pyongyang per i recenti test missilistici) e con il rafforzamento delle sue posizioni sul contenzioso delle isole nel Mar cinese meridionale.

Determinata anche la posizione nei confronti della Russia sulla questione ucraina: partner, ma non alleato, la Cina ha sempre continuato a mantenere un atteggiamento distaccato criticando la Nato, rifiutandosi di aderire alle sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione europea, ma guardandosi bene dall’aiutare Putin nel conflitto. Pechino non ha riconosciuto nessuna delle mosse secessioniste volute e appoggiate dalla Russia: Crimea, Donetsk e Luhansk continuano a rimanere ucraine agli occhi cinesi, che non hanno approvato neppure i recenti referendum. Il recente incontro tra il ministro degli Esteri Wang Yi con l’ucraino Dmytro Kuleba e la presa di distanza dalle minacce nucleari del Governo russo, sono gli ultimi esempi di come Pechino cerchi di smarcarsi sia da Washington che da Mosca per ritagliarsi uno spazio di attore principale nel continente asiatico.

(Foto Reuters: Xi Jinping alla cerimonia di apertura del XX Congresso del Partito comunista cinese)

 
 
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