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venerdì 16 maggio 2025
 
riflessione
 

Comunicare è farsi carico dell'altro

21/05/2023  È un’operazione difficile in un contesto come quello digitale, dove l’enorme disponibilità di informazioni e la facilità di accesso alla conoscenza, possono indurre alla pigrizia e all’indolenza. Eppure ciascuno, nel suo piccolo, può contribuire affinché il legame tra Chiesa e comunicazione venga vissuto attraverso la “virtù” della creatività

Chi comunica cordialmente «vuole bene all’altro perché lo ha a cuore e ne custodisce la libertà, senza violarla». Queste parole rappresentano una certezza comunicativa e, nello stesso tempo, risuonano come una chiamata. Quella che Papa Francesco rivolge non soltanto agli operatori dell’informazione, ma – scrive nel Messaggio per la 57ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che si celebra il 21 maggio – alla responsabilità di ciascuno perché si impegni per una comunicazione “dal cuore e dalle braccia aperte”. Il documento di quest’anno non può essere letto se non alla luce dei due messaggi precedenti, vere e proprie anticamere comportamentali al parlare col cuore. Perché per farlo, prima si deve andare a vedere, poi bisogna ascoltare, e poi si può parlare secondo verità nella carità.

I tre ultimi messaggi del Papa rappresentano, dunque, un’ideale trilogia comunicativa che, attraverso un vero e proprio percorso di purificazione, permette di «vedere oltre l’apparenza e superare il rumore indistinto che, anche nel campo dell’informazione, non ci aiuta a discernere nella complessità del mondo in cui viviamo». Ancora una volta viene alla mente una delle immagini care al Pontefice argentino per tratteggiare l’identikit del perfetto comunicatore: il Buon Samaritano. Lo spiegava già nel 2004 nel suo primo messaggio ribadendo la necessità di farsi carico dell’altro e introducendo la sua categoria comunicativa privilegiata: la prossimità. Il Buon Samaritano, infatti, può passare indifferente davanti al moribondo (come il sacerdote e il levita), potrebbe anche infierire su di lui percuotendolo come fecero i briganti, oppure fargli della carità spicciola lavandosi le mani e pulendosi così la coscienza. Invece, sceglie di andare a vederlo, ascoltare il suo dolore (“ne ebbe compassione” – scrive l’evangelista Luca –, cioè lo vede e lo ascolta) e poi parla con lui: non con la voce, ma fasciandogli le ferite, versandovi olio e vino e prendendosene cura.

Farsi carico è tutt’altro che un’operazione scontata in un contesto come quello digitale, dove l’enorme disponibilità di informazioni e la facilità di accesso alla conoscenza, possono indurre alla pigrizia e all’indolenza. Eppure ciascuno, nel suo piccolo, può contribuire affiche il legame tra Chiesa e comunicazione (che altro non è quello tra Dio e suo figlio, e i suoi figli) venga vissuto attraverso una delle più importanti “virtù”: la creatività. I cristiani ne dispongono in quantità, ne sono portatori sani perché “Creati a Sua immagine”.

Una dimostrazione sapiente di creatività è la preghiera contenuta nella prolusione proferita nel 2002 dall’allora cardinale di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio al Congresso dei comunicatori latinoamericani: «Signore, fa’ sì che possiamo farci prossimi come il Buon Samaritano del Vangelo, che non è altro che Te stesso trasfigurato nella bellezza dell'amore meraviglioso che Dio prova per noi. Fa’ sì che la nostra anima possa commuoversi e che il nostro cuore possa intenerirsi di fronte al nostro fratello. Fa’ sì che possiamo scoprire la bellezza del suo amore salvifico e che possiamo comunicare con gioia la bellezza dell’impegno di amare il nostro prossimo secondo l’esempio di Massimiliano Kolbe».

In queste poche righe c’è tutta l’essenza comunicativa (e non solo) di quello che sarebbe diventato qualche anno dopo Papa.

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