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lunedì 14 luglio 2025
 
verso il conclave
 

«Non si torni indietro dalle aperture di Francesco ma il nuovo Papa dovrà avere un rapporto più diretto con la curia»

05/05/2025  Intervista a monsignor Bruno Forte, teologo e arcivescovo di Chieti – Vasto, sul prossimo Conclave: «Il prossimo Pontefice non potrà prescindere dalla dimensione della mondialità, tratto caratteristico del pontificato di Bergoglio, come si è visto in maniera rilevante anche nella celebrazione delle sue esequie. L'età? Non potrà essere giovanissimo, la Chiesa ha bisogno di stabilità ma anche di un costante rinnovamento»

Il teologo Bruno Forte
Il teologo Bruno Forte

«Penso che il prossimo Papa debba avere tre caratteristiche principali: la continuità con l’opera di Papa Francesco; la capacità di offrire un contributo originale nell’approfondimento della fede e nel potenziare l’evangelizzazione e la catechesi; e la sensibilità verso la dimensione della mondialità, tratto caratteristico del pontificato di Bergoglio, come si è visto in maniera rilevante anche nella celebrazione delle sue esequie».

È l’opinione di monsignor Bruno Forte, teologo e arcivescovo di Chieti – Vasto, che ha partecipato ai Sinodi sulla famiglia, sui giovani e sulla sinodalità convocati da Bergoglio, e recentemente ha presentato per volontà del Papa l’Enciclica Dilexit nos.

Eccellenza, partiamo dalla continuità con il pontefice argentino.

«È un tratto essenziale. Papa Francesco in questi anni ha fatto molte scelte e realizzato aperture che vanno portate avanti, approfondite e sviluppate in maniera ordinata e ferma. Inoltre, il suo successore dovrà offrire un contributo originale soprattutto sul fronte interno, promuovendo un rinnovato slancio nell’approfondimento della fede, nell’impegno dell’evangelizzazione e nella catechesi, su cui mi sembra ci sia molta attesa da parte delle chiese locali».

Papa Francesco di sé stesso diceva anzitutto di essere vescovo di Roma.

«Sì, ma le urgenze di governo, e non solo, con le quali ha dovuto confrontarsi non gli hanno permesso di dedicarsi come avrebbe voluto ai sacerdoti e alla gente della sua diocesi. Anche le visite alle parrocchie, numerose nei primi anni, si sono diradate successivamente, anche a motivo di un’agenda affollatissima e delle condizioni di salute. Il prossimo Papa dovrà tenere in grande considerazione il suo essere pastore della Chiesa di Roma e coltivare in maniera ancora più forte e intensa questa dimensione».

La mondialità è un altro tratto da portare avanti.

«Il pontificato e le esequie di Bergoglio sono state un segno visibile di questa dimensione della missione del Papa. Se a San Pietro sono arrivati tanti potenti della terra e leader politici da tutto il mondo, se c’è stata, e continua ad esserci, un’attenzione mediatica planetaria, significa che Francesco ha toccato temi e avanzato sfide che riguardano tutto il mondo: un Occidente in crisi bisognoso di riscoprire alcuni valori fondanti rispetto ai temi della dignità della persona e della pace; la necessità di coinvolgere in maniera affascinante e accattivante i giovani; la sfida del rapporto con l’Islam, proseguendo il dialogo portato avanti in questi anni da Francesco e, infine, la dimensione ecumenica che ha fatto progressi notevoli, ma che ha ancora appuntamenti importanti, non solo nel cammino del riconoscimento del ruolo del vescovo di Roma nella comunione universale delle chiese, ma anche al servizio dell’unità dei cristiani, che il villaggio globale invoca e chiede».

Un aspetto emerso in questi giorni di Congregazioni generali è quello del governo e della curia romana.

«Credo che il nuovo Papa dovrà sviluppare un rapporto con la Curia più intenso e diretto. Francesco, forte della sua personalità, faceva molte scelte in solitudine e non di rado “spiazzando” il suo stesso Segretario di Stato, il cardinale Parolin, che spesso ha dichiarato di aver appreso dai media notizie riguardo a scelte importanti fatte dal Papa. Occorre ritrovare una collaborazione più stretta e proficua tra il successore di Pietro e i suoi collaboratori».

La sinodalità, su cui Bergoglio ha molto accelerato in questi anni, è un altro tema centrale.

«Il metodo sinodale implica tre criteri: riconoscere la dignità di ognuno dei protagonisti, di ogni battezzato nelle chiese locali, delle chiese locali nella chiesa universale e di ogni interlocutore nel mondo. Sulla sinodalità, poi, c’è molto da lavorare e occorrono capacità di ascolto e di dialogo per dire senza remore e senza riduzionismi la verità del Vangelo che siamo chiamati ad annunciare. La sinodalità, infine, è una sfida che non si gioca nell’immediato: si tratta di imparare ad ascoltarsi e a lavorare insieme, il che rappresenta un’istanza urgente di fronte a un mondo sempre più frantumato e multipolare».

Un Collegio cardinalizio così affollato e con tanti porporati provenienti da ogni parte del mondo è un ostacolo per fare sintesi?

«Credo di no. Ci sono tre elementi oggettivi da tener conto nella scelta da compiere. Il primo è che il Papa che sarà eletto non potrà essere giovanissimo, perché ciò implicherebbe un pontificato molto lungo. La Chiesa ha certamente bisogno di stabilità, ma anche di un costante rinnovamento. Il secondo è che, essendo vescovo di Roma, il nuovo Papa deve conoscere la lingua italiana, prerequisito che non tutti i porporati hanno. Il terzo è la prospettiva universale che in papa Francesco nasceva da un carisma quasi naturale, ma che il suo successore dovrà affrontare anche facendosi aiutare da collaboratori selezionati, che abbiano la capacità di avvertire i problemi e di individuare proposte e soluzioni. Serve una sorta di forma sinodale permanente, simile al Consiglio dei cardinali che ha creato Francesco durante il suo pontificato».

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